giovedì 10 maggio 2007

L'infettività dei prioni

Alcune patologie neurodegenerative, come la malattia della mucca pazza e la malattia di Creutzfeldt-Jakob, sono causate da proteine infettive note come prioni. Nonostante i molti studi condotti, non si era ancora compreso come i prioni si formassero, si replicassero e potessero passare da una specie all'altra.
Come spiegano in un articolo sull'ultimo numero di
Nature, studiando prioni non tossici del lievito alcuni ricercatori del Whitehead Institute di Cambridge, Massachusetts, sono ora riusciti a identificare in essi alcune piccole regioni critiche che determinano buona parte del loro comportamento.
Le proteine sono strutture complesse che per svolgere il loro compito subito dopo essere state prodotte devono ripiegarsi su se stesse in un modo ben preciso. I prioni sono proteine che iniziano a ripiegarsi normalmente ma che a un certo punto si deformano in un modo anomalo; ciò li rende in grado di deformare a loro volta altre proteine in un processo a cascata che può portare alla formazione di lunghe fibre dette amiloidi.
Per comprendere i meccanismi che presiedono alla formazione delle fibre amiloidi il gruppo di ricerca diretto da Susan Lindquist ha modificato gli arrays normalmente utilizzati per l'identificazione dei siti di legame delle proteine note, in modo da poter osservare e seguire passo passo - dopo aver ricoperto gli arrays con migliaia di frammenti di proteine - il ripiegamento delle proteine stesse e la formazione delle fibrille amiloidi.
I ricercatori hanno così individuato come responsabile del cattivo ripiegamento e della formazione delle fibrille un piccolo cluster di peptidi che hanno chiamato elemento di riconoscimento.
Successivamente hanno ripetuto l'esperimento su prioni di un fungo patogeno, ottenendo gli stessi risultati. Tuttavia, fra i prioni restava una rigida barriera di specie, ossia i prioni di lievito non reclutavano quelli fungini, né viceversa. A questo punto Lindquist e colleghi hanno costruito un prione artificiale che possedeva entrambi i cluster di peptidi in questione, accorgendosi poi che, posto in un mezzo contenente sia proteine fungine che di lievito, il nuovo prione svolgeva la propria azione di deformazione nei confronti delle une o delle altre a seconda della temperatura a cui veniva mantenuto il mezzo. In altri termini, la temperatura fungeva da "interruttore" per l'attivazione di uno o dell'altro elemento di riconoscimento.
"Questi risultati - ha detto la Lindquist - sono significativi per due motivi. Da un lato è la prima volta che gli arrays di peptidi vengono utilizzati per studiare il ripiegamento delle proteine. Dall'altro, abbiamo potuto vedere che solo una piccola parte del prione induce le proteine a piegarsi. E questo è un concetto completamente nuovo.
Fonte: Le Scienze 10-05-07

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