mercoledì 28 marzo 2007

Il mondo a colori

Grazie al trasferimento di un gene che regola la visione nell'essere umano, alcuni topi hanno iniziato a distinguere i colori. L'esperimento, pubblicato sulla rivista Science, è stato eseguito da ricercatori della University of California, Santa Barbara, in collaborazione la Johns Hopkins Medical School di Baltimora.
A differenza della maggior parte dei mammiferi, i primati possono distinguere i colori dell’arcobaleno perché nella retina sono presenti tre fotorecettori, che distinguono i colori blu, verde e rosso. I topi invece dispongono solo di due fotopigmenti, così che il loro spettro di colori risulta limitato.
Nello studio i ricercatori hanno aggiunto il terzo fotopigmento ad alcune cavie di laboratorio. Il test per verificare se i topi avevano sviluppato la capacità di distinguere tutti i colori consisteva nel mostrare alle cavie tre pannelli, due di colore uguale e uno diverso, ricompensandoli se riuscivano a distinguere quello diverso. Registrazioni elettriche dell’attività della retina hanno confermato che la presenza del terzo fotopigmento permetteva di rispondere alla lunghezza d’onda della luce rossa, che normalmente i topi non possono vedere.
"Il risultato è importante”, spiega Gerald Jacobs, uno degli autori, “perché abbiamo dimostrato che è sufficiente che negli occhi dei mammiferi sia presente la struttura che vede i colori per indurre il cervello a elaborare la nuova informazione, senza bisogno di uno sviluppo cerebrale. Questo vuol dire che 40 milioni di anni fa i nostri antenati hanno acquisito questa capacità, senza bisogno di ulteriori adattamenti". Lo studio avvalora l’ipotesi che una singola mutazione genetica abbia prodotto una visione tricromatica negli esseri umano e nei primati.
Fonte: Galileo 27-03-07

Gemelli ma non troppo

Un evento unico, quello registrato al Banner Good Samaritan Medical Center di Phoenix, in Arizona, e raccontato su Human Genetics. Una coppia di gemelli nata dalla fusione di due spermatozoi con un solo oocita, che quindi hanno ereditato gli stessi geni dalla madre, ma geni diversi da parte del padre.
È il primo caso di questo tipo mai registrato nella letteratura medica, e secondo gli esperti è talmente improbabile che potrebbe restare l'unico. É infatti il risultato di tre circostanze decisamente fortuite: che una cellula uovo fecondata da due spermatozoi dia origine a un embrione in grado di svilupparsi; che questo embrione si divida in due per dare luogo a due gemelli; e infine, che i medici se ne accorgano.
A Phoenix, se ne sono accorti solo perché uno dei due gemelli ha un apparato genitale ambiguo che non permetteva di decidere se fosse maschio o femmina. I medici hanno quindi effettuato un analisi del patrimonio genetico dei due gemelli, accorgendosi che entrambi hanno alcune cellule con due cromosomi X, e altre con un cromosoma X e uno Y. La proporzione di cellule di un tipo o dell'altro varia nei due individui. In quanto al fenotipo, uno dei due neonati è un vero ermafrodito, dotato sia di tessuto ovarico che testicolare; l'altro è anatomicamente maschio. Entrambi mostrano, finora, crescita e capacità mentali del tutto nella norma.
Secondo Vivienne Souter, la genetista dell'ospedale dell'Arizona che ha effettuato i test sui due neonati, la scoperta costringerebbe a rivedere i criteri di classificazione dei gemelli, che attualmente prevedono solo due categorie: gemelli monozigoti, o identici, nati dall'incontro di uno spermatozoo con un oocita e dalla successiva divisione dell'embrione in due (o più) embrioni; e gemelli eterozigoti, che nascono quando più cellule uovo fecondate attecchiscono nell'utero. Qui siamo in un caso intermedio. Una cellula uovo fecondata da due spermatozoi normalmente non sopravvive. I pochi casi conosciuti hanno dato luogo alla nascita di individui ermafroditi, ma mai a due gemelli.
Fonte: Nature news e Galileo 27-03-07

lunedì 26 marzo 2007

Un peptide antibatterico

Una sostanza che stimola le difese immunitarie e aiuta l'organismo a combattere le infezioni, soprattutto quelle provocate da batteri resistenti agli antibiotici, come l'Enterococcus e lo Staphylococcus aureus, responsabili di decine di migliaia di morti soltanto negli Stati Uniti. È quella messa a punto dai ricercatori canadesi della University of British Columbia insieme a uno spin off dello stesso ateneo, la Inimex Pharmaceuticals. Si tratta di un peptide – cioè una molecola costituita da una catena di pochi amminoacidi – che i ricercatori hanno chiamato IDR-1, ovvero Innate Defense Regulator, per le sue capacità di regolare le difese immunitarie naturali.
Per verificare l'azione del peptide, i ricercatori guidati dall'immunologo Robert Hancock hanno infettato alcuni topi con ceppi di Enterococco resistente alla vancomicina, con Stafilococco resistente alla meticillina e Salmonella. Uno o due giorni prima dell'infezione, o quattro ore dopo, hanno somministrato ai topi anche l'IDR-1. Gli animali trattati con il peptide hanno mostrato una capacità di sopravvivere all'infezione due volte superiore a quella dei topi non trattati, scrivono i ricercatori nello studio pubblicato il 25 marzo su Nature Biotechnology. I dati mostrano che il peptide attiva la produzione di chemochine, mediatori chimici che regolano il traffico dei globuli bianchi, guidando la risposta immunitaria dell'organismo. Per di più, aggiungono i i ricercatori, il peptide non ha prodotto la reazione infiammatoria che spesso si verifica quando si stimola il sistema immunitario.
Il peptide potrebbe essere somministrato insieme agli antibiotici nella terapia di alcune comuni infezioni ospedaliere, come quelle che si possono verificare nel decorso post operatorio, con la chemioterapia, con l'inserimento di cateteri o di altri dispositivi medici. I primi studi clinici per testare la sicurezza dell'IDR-1, conclude Hancock, potrebbero cominciare tra 12-15 mesi.
Fonte: Galileo 26-03-07

domenica 25 marzo 2007

La scienza a Torino nel 2010

Torino ospiterà il meeting biennale European Science Forum - ESOF 2010. E' stato annunciato oggi alla conferenza stampa dal comitato promotore torinese, composto da Compagnia di San Paolo, Agorà Scienza e Centroscienza.
La manifestazione è nata da un'idea di Euroscience, organizzazione, con sede a Strasburgo, che riunisce più di 2100 scienziati provenienti da 40 Paesi europei. La prima edizione del meeting dedicato alla ricerca e all'innovazione scientifica, si è svolta a Stoccolma nel 2004, poi a Monaco di Baviera e la prossima del 2008 si terrà a Barcellona.
Torino, con il suo motto "Passion for Science", diventerà quindi la "Città Europea della Scienza" nel 2010, dopo essere stata scelta in una rosa di candidate che comprendeva Parigi, Breslavia e Copenhagen.
ESOF è un meeting europeo ed è dedicato al confronto dei risultati ottenuti nei settori della ricerca e dell'innovazione scientifica e alla loro divulgazione. Lo scopo primario è quello di avvicinare e appassionare alla cultura scientifica i cittadini europei e in particolare i giovani.
Torino è stata candidata ad ospitare la manifestazione grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo, del CentroScienza Onlus e del Centro Agorà Scienza dell’Università di Torino. Ha inoltre ricevuto un appoggio anche da un "gruppo locale" che comprende istituzioni (Comune di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte), atenei, centri di ricerca, associazioni, imprese.
Sono già molti gli enti nazionali che si sono offerti per contribuire alla preparazione di ESOF 2010. Il forum biennale di Euroscience è articolato su un programma strettamente scientifico con manifestazioni e iniziative di diffusione della cultura scientifica. E' stato previsto un budget di 3,5 milioni coperto per la metà dagli organizzatori e da altri enti italiani, il restante da organizzazioni europee e di altri paesi.
Attualmente per l'edizione 2008 che si svolgerà a Barcellona, sono attesi 5.000 scienziati per la conferenza e 100.000 visitatori alle iniziative della manifestazione. ESOF infatti, in una settimana, ha un intenso programma di conferenze, workshop, esposizioni a livello internazionale e dibattiti e inoltre l'organizzazione prevede un ampio programma di attività, manifestazioni e iniziative di diffusione della cultura scientifica con lo scopo di coinvolgere tutti i cittadini.
Torino conquista così un altro primato.
Fonte: Molecularlab

martedì 20 marzo 2007

La minaccia tubercolosi

Per ora in Italia sono stati segnalati solo 8 casi. Un numero esiguo, è vero, ma un segnale preoccupante. La tubercolosi «a resistenza estesa» (extensively drug-resistant, o xdr Tb), infatti, non risponde alla terapia di prima scelta e neppure ai principali farmaci tra quelli considerati di seconda linea. Si tratta, in sostanza, di una malattia difficilissima da curare e che può portare facilmente alla morte.
I paesi poveri del mondo sono naturalmente i più colpiti, così come i paesi dell´ex Unione Sovietica. Recentemente però la nuova forma di tubercolosi è comparsa in Sudafrica, in Canada, in Spagna e ora, secondo un nuovo studio che sarà pubblicato sulla rivista Emerging Infectiuos Diseases, anche in Germania e in Italia.
E così la tubercolosi torna a far parlare di sé. All´inizio del secolo scorso il bacillo di Koch era la principale causa di morte in Europa e negli Stati Uniti. Poi arrivarono gli antibiotici e, almeno nei paesi ricchi del mondo, la tubercolosi allentò la presa, tanto che oggi qualcuno pensa che sia una malattia legata al passato. In realtà non è così. La tubercolosi ha continuato a colpire in tutto il mondo. In particolare, da quando è iniziata l´epidemia di Aids, anche la tubercolosi ha ripreso forza. L´immunodepressione causata dall´Hiv, infatti, fa sì che sia più facile infettarsi con il batterio della tubercolosi se si ha già l´Aids. Oggi si stima che gli infettati siano circa 2 miliardi, un terzo della popolazione mondiale. Ogni anno si registrano circa 9 milioni di nuovi casi. E per causa sua nel solo 2004 sono morte 1 milione e settecentomila persone: quasi 5000 al giorno.
La malattia colpisce, ancora una volta, soprattutto i paesi poveri, in particolare il sud est asiatico e l´Africa sub-sahariana. Tuttavia, non si deve dimenticare che la tubercolosi è una malattia infettiva, che si trasmette per via aerea e che il mondo è sempre più piccolo vista la velocità degli spostamenti e i flussi migratori. Quindi, non dobbiamo pensare che la tubercolosi sia qualcosa che non ci riguarda.
Lo dice chiaramente lo slogan scelto dall´Oms per celebrare la giornata mondiale della tubercolosi il 24 marzo prossimo: «Tb anywhere is Tb everywhere». Ovvero, se la tubercolosi è presente in un qualsiasi luogo del mondo si diffonderà in tutto il mondo.
Del resto, anche in Italia, la tubercolosi non è mai sparita: ogni anno si contano circa 6000 nuovi casi di malattia. La cosa più preoccupante, però, è che sta tornando ad essere una malattia difficilmente curabile. Negli anni passati si era già assistito al diffondersi di una tubercolosi multiresistente che non si riusciva a curare con la rifampicina e l´isoniazide, i due farmaci più utilizzati. In questi casi, i medici avevano a disposizione i cosiddetti farmaci di seconda linea che, peraltro, presentavano già molti difetti: erano molto più difficili da trovare, molto più costosi (circa 10 volte di più) e davano effetti collaterali più gravi. Ma, recentemente si è visto che alcuni pazienti non miglioravano neppure con questi nuovi farmaci. Si è affacciata così al mondo la tubercolosi xdr. Nel 2006 l´Organizzazione Mondiale della Sanità, ha calcolato che il 10% delle tubercolosi multiresistenti erano in realtà tubercolosi xdr.
La nascita di ceppi del batterio della tubercolosi resistenti ai farmaci è dovuta a una terapia sbagliata o seguita male. Il fatto è che la cura per questa malattia è lunga e complessa. Interromperla a metà o comunque non seguirla secondo le modalità e i tempi prescritti può far nascere dei batteri capaci di sopravvivere ai farmaci che normalmente sono in grado di annientarli. Questi nuovi batteri vengono poi diffusi nella popolazione attraverso le normali modalità di contagio della malattia.
Come spiegano gli autori di un editoriale uscito il 15 febbraio scorso sul New England Journal of Medicine, per interrompere il circolo vizioso ci vogliono diagnosi tempestive e accurate, terapie appropriate e controlli che garantiscano che le cure vengano seguite in modo esatto. E poi, ci vogliono test diagnostici che dicano in tempi brevi se ci si trova di fronte a un batterio resistente ai farmaci in modo da prendere misure per evitare il contagio di altre persone, in particolar modo usando al meglio i farmaci che ancora hanno un effetto sul batterio. Anche perché, sottolineano gli autori, altri farmaci per la tubercolosi non ce ne sono e non ci saranno per i prossimi anni. E anche per un nuovo vaccino non ci sono prospettive a breve termine. Anzi, uno studio appena pubblicato su Pnas dimostra che i vecchi vaccini funzionerebbero addirittura meglio di quelli attualmente in uso.
Fonte: L'Unità 19-03-07

sabato 17 marzo 2007

Amniocentesi addio!

Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Medicine apre nuove prospettive nella diagnosi prenatale delle aneuploidie, vale a dire le anomalie nel numero dei cromosomi del nascituro.
Ogni cellula di un organismo umano contiene 23 coppie di cromosomi omologhi. Fanno eccezione a questa regola la cellula uovo e lo spermatozoo, che di ogni cromosoma hanno una sola copia, in modo da ricostituire, a seguito della loro unione, un corredo cromosomico completo.
Talvolta, nel processo riproduttivo, si possono verificare errori che portano ad un numero alterato di cromosomi. La aneuploidia più frequente è la cosiddetta sindrome di Down, caratterizzata dalla presenza di 3 copie del cromosoma 21 e perciò definita trisomia 21.
La sindrome di Down colpisce circa 1 ogni 1000 nati. Le probabilità aumentano proporzionalmente all'età della madre oppure se sono presenti altri casi nella storia familiare. Le tecniche prenatali attualmente disponibili per accertare anomalie cromosomiche sono l'amniocentesi e il prelievo dei villi coriali. Si tratta di esami invasivi, che prevedono la raccolta di materiale cellulare fetale e che comportano un rischio, seppur modesto, per il bambino.
Esiste anche un approccio basato sul dosaggio di alcune sostanze nel sangue materno prelevato alla 16-17° settimana di gestazione, il cosiddetto Tri-test. Tuttavia questa tecnica fornisce solo una stima del rischio della sindrome di Down e non ha un significato diagnostico.
Le cose sono però destinate a cambiare. Un team di scienziati dell'Università Cinese di Hong Kong, del King's College Hospital di Londra e dell'Università di Boston ha messo a punto un tecnica che consente di diagnosticare la sindrome di Down attraverso l'esame di una campione di sangue materno, grazie alla presenza in quest'ultimo di quantità significative di RNA messaggero del feto.
I risultati ottenuti dal gruppo, guidato da Y. M. Dennis Lo dell'Università Cinese di Hong Kong, sono davvero incoraggianti. I ricercatori sono stati in grado di diagnosticare correttamente la trisomia 21 nel 90% dei casi e di escluderla nel 96.5% dei controlli.
Questo risultato è destinato a rivoluzionare l'approccio alla prevenzione dei difetti genetici prenatali, dalla fibrosi cistica fino alle emoglobinopatie. In un comunicato stampa, la Sequenom di San Diego (California) che ha fornito il supporto tecnologico a questa ricerca, ha annunciato di avere registrato i diritti per l'esecuzione di test diagnostici prenatali basati su questa tecnologia di analisi genetica.
Fonte: LSWB

giovedì 15 marzo 2007

Via al Festival della Matematica

C'è un pubblico per la matematica. E sembra avere i numeri per meritarsi una rassegna tutta sua. Provare per credere, dal 15 al 18 marzo l'Auditorium parco della musica di Roma ospita il Festival della matematica, la prima manifestazione europea interamente dedicata all'arte dei numeri.
Perché un festival della matematica
"Perché no?". Così risponde Piergiorgio Odifreddi, docente di logica all'Università di Torino e direttore scientifico della manifestazione, a chi chiede ragione del Festival. L'idea, però, non è venuta a un matematico, bensì al sindaco di Roma Walter Veltroni. Un'idea azzeccata, considerato il l'interesse suscitato dall'iniziativa, le innumerevoli richieste di anticipazioni e di interviste da parte dei giornali, i contatti ricevuti, superiori a quelli per il Festival delle scienze. "Organizzare un evento incentrato unicamente sulla matematica comporta dei rischi", ammette Odifreddi. "Rispetto a una kermesse scientifica a carattere generale, la possibilità di spaziare tra i contenuti è relativamente limitata e c'è il pericolo di attirare l'attenzione solo di un pubblico di settore." Ciò nonostante, a quanto pare la matematica va di moda e nel campo dell'editoria, vende più di qualsiasi altra disciplina scientifica, a pari merito con la fisica. Si consideri, inoltre, che la pluricollaudata formula del festival riscuote grande successo di pubblico, e il mix per il successo è fatto.
Un nome (simmetrico), un programma
Gli organizzatori hanno cercato di ampliare gli argomenti, di fondere i linguaggi di diverse discipline, pur lasciando alla matematica il ruolo di protagonista. Il titolo simmetrico di questa prima edizione, "La bellezza dei numeri e i numeri della bellezza", allude alla doppia anima della manifestazione: parlare di matematica pura e allo stesso tempo mostrare il lato artistico della scienza dei numeri. "Nel nome è anche racchiuso uno dei messaggi che il festival vuole lanciare", spiegano gli organizzatori. "La matematica è fatta di domande più che di risposte, di forme oltre che di contenuti. È una scienza molto più vicina al bello che non al vero, una sfida alla ragione più che una caccia alla soluzione. La sua bellezza è simile a quella della fatica e il risultato - sebbene sia il fine della ricerca - non ne è quasi mai il motore."
Appuntamenti d'autore
Il festival è organizzato in lezioni magistrali, conferenze, letture di racconti matematici (da Italo Calvino a Raymond Quenau), ma anche mostre con exhibit hands-on, giochi e concerti.
Tra gli ospiti sfilano i nomi dei più grandi matematici contemporanei, da Andrew Wiles, il dimostratore dell'Ultimo teorema di Fermat, a Michael Atiyah e Alain Connes, medaglie Fields rispettivamente nel 1966 e nel 1982, a Benoit Mandelbrot, lo scopritore dei frattali, per citarne alcuni: matematici che hanno meritato grandi riconoscimenti nel loro campo, ma che raramente hanno partecipato a iniziateve di tipo divulgativo.
Ma ci saranno anche i matematici che si occupano di divulgazione, tra cui Douglas Hofstadter, autore del libro Gödel, Escher e Bach (Adelphi, 1979), premiato con il Premio Pulitzer nel 1980, e John Barrow, cosmologo e Premio Templeton 2006 per le sue opere sulle relazioni tra scienza e religione. Ospite d'eccezione il campione di scacchi Boris Spassky, protagonista di in un incontro con Zhores Alferov, Nobel per la fisica nel 2000, e di uno scontro alla scacchiera con quindici matematici.
Per gli eventi serali, nel programma compaiono nomi che non ci si aspetta di trovare in un contesto matematico, ma che in realtà hanno un forte legame con questa scienza. Per esempio, il premio Nobel per la letteratura Dario Fo che propone una lezione teatrale sulla prospettiva; l'ingegnere Stefano Belisari (in arte Elio, il cantante del gruppo "Elio e le storie tese"), Serena Dandini, il regista Mario Martone e il premio Oscar Nicola Pievani.
Il festival si chiude con l'intervista a John Nash, matematico noto per le sue scoperte sulla teoria dei giochi, premio Nobel per l'economia nel 1994 e reso celebre dalla biografia di Silvia Nasar, cui ha fatto seguito il film A beatiful mind di Ron Howard nel 2001. Il Nobel non ha voluto tenere una lezione magistrale perché convinto di non avere nulla da dire.
Fonte: Jekyll 12-03-07

martedì 13 marzo 2007

Risvegliare le cellule

La rimozione di una singola proteina, la "p21", riesce a stimolare tutta una serie di cellule che non sono più in grado di dividersi, reinserendole in quell'insieme di eventi ordinati e tra loro dipendenti che ne regolano la proliferazione e che prende il nome di ciclo cellulare. La scoperta, la prima del genere, è opera di un team di scienziati guidati da Marco Crescenzi, ricercatore presso il Dipartimento di Ambiente e connessa Prevenzione Primaria dell'Istituto Superiore di Sanità, e viene oggi pubblicata sul Journal of Cell Biology.
Con questo studio si dimostra che è possibile riattivare cellule differenziate terminalmente, cellule cioè che si sono ritirate permanentemente dal ciclo cellulare perdendo la capacità di dividersi, semplicemente sottraendo una specifica proteina ritenuta responsabile dell'inibizione della replicazione cellulare. "Questo nuovo filone di studi apre prospettive molto importanti - afferma il Presidente dell'ISS Enrico Garaci - si tratta, infatti, di una scoperta che può rappresentare un significativo contributo allo sviluppo dell'ingegneria tessutale oggi in gran parte affidata agli studi sulle cellule staminali, e dunque al tentativo di riparare i tessuti dell'organismo laddove non è possibile farne crescere le cellule in coltura o quando la proliferazione cellulare incontra ostacoli".
Lo studio parte dal fatto che la maggior parte delle cellule di individui adulti non presenta più un ciclo di divisione cellulare. "La ricerca -spiega Marco Crescenzi, autore dello studio - è stata condotta su cellule "quiescenti", cosiddette perché riposano in una sorta di sonno temporaneo dovuto per esempio alla scarsità di nutrimento; oppure "senescenti" perché invecchiate o perché il loro DNA risulta danneggiato e pertanto si "ritirano" in uno stato detto di "senescenza replicativa"; o ancora, acquisiscono funzioni specializzate e cessano "volontariamente" di dividersi. Tutti e tre questi stati, per quanto differenti, condividono lo stesso meccanismo molecolare responsabile dell'arresto della proliferazione. Infatti, nonostante i ricercatori fino ad ora abbiano provato a risvegliare queste cellule con mezzi diversi, la ricetta per riattivarle, quand'anche funzioni, si mostra differente per ogni stato".
In questa ricerca, invece, l'equipe coordinata da Crescenzi ha identificato un denominatore comune nella proteina regolatrice chiamata p21, che inibisce le proteine (chinasi) responsabili della divisione cellulare. "Lo studio è stato condotto su miotubi, ovvero su fibre muscolari differenziate, su fibroblasti umani quiescenti e su cellule renali senescenti - afferma il ricercatore - molte di queste cellule ignorano qualsiasi fattore di crescita, qualsiasi oncogene e promotore della divisione. Tuttavia, quando abbiamo rimosso la proteina p21 utilizzando RNA interferente, le cellule si sono "svegliate" e hanno avviato un processo di mitosi, ossia di duplicazione, ormai libere dalla continua inibizione del ciclo cellulare".
Lo studio, quindi, apre diverse prospettive. Lo stesso gruppo dell'ISS è già al lavoro per applicare la nuova scoperta alle cellule staminali. "Molte cellule staminali umane, infatti, mostrano una lentezza intrinseca a replicarsi, anche in vivo - afferma Crescenzi - Utilizzando il metodo messo a punto in questo studio, pensiamo perciò di poter favorire e accelerare, anche la proliferazione delle cellule staminali".
Fonte: ISS 13-03-07

lunedì 12 marzo 2007

Iperattività e farmaci

L'8 marzo l´Agenzia italiana del farmaco ha approvato l´immissione in commercio di due farmaci che sono indicati per il trattamento della Sindrome da deficit di attenzione e iperattività, o Adhd, come viene chiamata in inglese.
Le due sostanze sono il metilfenidato, conosciuto con il nome commerciale di Ritalin, e la atomoxedina, il cui nome commerciale è Strattera. I due farmaci non sono uguali, ma entrambi agiscono sui neurotrasmettitori, ossia le sostanze che permettono lo scambio di informazioni tra le cellule nervose. L´atomoxedina però è un preparato nuovo e la sua commercializzazione è stata approvata contemporaneamente da tutti gli stati europei con una procedura di mutuo riconoscimento, il che vuol dire che nessun paese si può opporre alla sua autorizzazione. Siamo in Europa.
Il metilfenidato, invece, è una conoscenza antica. In Italia era già stato venduto, ma la casa produttrice (che allora era la Bayer, mentre oggi è Novartis) decise di ritirarlo dal nostro mercato nell´89, un po´ perché si vendeva poco e un po´ perché era entrato in un mercato illecito. Il metilfenidato infatti è un´anfetamina e veniva usato dagli studenti per star su tutta la notte a preparare gli esami o a ballare in discoteca e dalle loro mamme per dimagrire. Tuttavia, negli altri paesi europei il farmaco ha continuato ad essere venduto.
Oggi questi farmaci entrano nel mercato italiano con un´indicazione precisa: il trattamento dell´Adhd. La notizia ha dato vita a reazioni opposte: da un lato, c´è chi l´ha accolta con favore e, anzi, la aspettava da tempo, dall´altro c'è chi invece ha criticato la velocità con cui si è giunti a questa decisione ed ha manifestato una forte preoccupazione per quello che potrà accadere. Tra i primi troviamo alcune associazioni di familiari di bambini affetti da Adhd, tra i secondi «Giù le mani dai bambini», un comitato che raggruppa cento associazioni di volontariato e promozione sociale e che si batte contro quello che considerano un uso eccessivo degli psicofarmaci nei bambini. La questione è oggetto anche di un´interrogazione parlamentare presentata da Ermina Emprin e Tiziana Valpiana di Rifondazione comunista che chiedono al ministro «le sue valutazioni in ordine alla classificazione dell´Adhd come patologia neuropsichiatria a esordio in età evolutiva, nonché in ordine all´opportunità di prevedere l´accesso a terapie farmacologiche psicostimolanti o noradrenergiche a carico del Servizio Sanitario Nazionale».Cerchiamo di capire quali sono i punti di contrasto.
La sindrome:
L´Adhd viene definito «un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell´adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi che si manifesta generalmente prima dei 7 anni d´età». Alcuni però mettono in discussione la diagnosi di questo disturbo. I protocolli per diagnosticare la sindrome avrebbero maglie troppo larghe e quindi potrebbero cadere nella categoria anche bambini con altri problemi: «Spesso - dice ad esempio lo psichiatra Luigi Cancrini - l´Adhd viene diagnosticata anche quando c´è solo un problema di ansia». C´è anche chi mette in discussione l´esistenza stessa di una tale sindrome: «I bambini sono vivaci, a volte inquieti, non stanno attenti a scuola - afferma lo psicoanalista Giorgio Antonucci - ma l´aggressività nei bambini è un problema etico, sociale, ma non è certo un problema di carattere clinico». In sostanza, ci sarebbe un tentativo di medicalizzare problemi che non hanno niente di medico.
Tuttavia, sostiene Maurizio Bonati, responsabile del laboratorio materno infantile dell´Istituto Mario Negri di Milano, «da anni c'è un consenso sulla definizione della malattia. Anche se i criteri possono essere più o meno restrittivi: ad esempio, negli Stati Uniti i criteri diagnostici sono più ampi e quindi si contano più casi rispetto all´Europa». Mentre oltreoceano si stima che la sindrome colpisca tra il 7 e il 10% dei bambini in età scolare, in Italia i casi gravi sarebbero l'1%. Ma come si arriva a dire che il bambino è affetto da Adhd? La diagnosi è un fatto complesso: c´è la valutazione del neuropsichiatria, ma anche quella dei i genitori e degli insegnanti, perché il disturbo si manifesta soprattutto quando il bambino si trova in comunità. «È un disturbo relazionale grave - continua Bonati - che distrugge i rapporti, porta a disturbi del sonno e dell´alimentazione e incide su tutta la famiglia, provocandone l´isolamento».
La cura:
La terapia di prima scelta non deve essere quella farmacologia, ma quella psicologico-relazionale: su questo sono tutti d´accordo. Tuttavia, nei casi in cui le altre strade hanno fallito rimane il farmaco. C´è però anche chi, come «Giù le mani dai bambini» sostiene che invece i protocolli di terapia sono troppo indirizzati all´uso del farmaco: una via più semplice e veloce alla soluzione del problema. Ed è possibile che verso questa strada spingano le pressioni dell´industria farmaceutica.
In Italia, dove il farmaco non era disponibile, alcuni centri specializzati nella cura di questa sindrome finora lo compravano all´estero. «Sembra strano dare a un bambino ipercinetico un eccitante come l´anfetamina - dice Bonati - ma si è visto che stimolando ulteriormente i mediatori già molto stimolati del bambino con Adhd si arriva a un punto in cui le scorte si esauriscono e i mediatori non riescono più a sfuggire al controllo. È come quando si corre troppo e alla fine si esauriscono le forze». Anche questi psicofarmaci hanno effetti collaterali che vanno dalla riduzione di peso alla comparsa di tic e, in rari casi, danni epatici o cardiaci. E una recente nota della Food and Drug Administration, l´ente che regola il commercio dei farmaci negli Stati Uniti, ha messo in allerta sul fatto che gli psicofarmaci, tra cui quelli usati per l´Adhd, possono causare sindromi depressivo maniacali.
L´abuso:
Il rischio di abuso di questi psicofarmaci esiste: anche su questo sono tutti d'accordo. Nel mondo l´uso del Ritalin è triplicato nel giro di 10 anni: a guidare la lista dei paesi che utilizzano di più il farmaco sarebbero gli Stati Uniti. Ma anche la vicina Francia non scherza. L´Agenzia del farmaco ha pensato di ovviare al problema vincolando la prescrizione del metilfenidato e dell'atomoxedina a una diagnosi differenziale e a un piano terapeutico definiti da centri di neuropsichiatria infantile pubblici individuati dalle regioni. Questo vuol dire che il pediatra o lo psichiatra privato non possono prescrivere il farmaco, ma possono solo mandare il bambino di cui si sospetta la malattia in uno di questi centri specializzati. Inoltre, si prevede la creazione di un registro anonimo dei bambini in trattamento per seguire l´andamento della terapia. «Questa è una mossa intelligente - commenta Luigi Cancrini - così come il fatto che l´efficacia deve essere valutata a un mese dall´inizio della terapia. La stessa procedura dovrebbe essere usata per tutti gli psicofarmaci».
Fonte: L'Unità 12-03-07

domenica 11 marzo 2007

Camillo Golgi: un Nobel dimenticato

Recensione
Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi
di Paolo Mazzarello
Bollati Boringhieri 2006, pp.660, euro 40,00

Difficile tirare un filo nella complessa trama della vita di Camillo Golgi. Premio Nobel per la scoperta di una potentissima tecnica di colorazione dei tessuti, neuroscienziato di fama mondiale, scopritore di alcuni elementi fondamentali dell'infezione da malaria, senatore del Regno d'Italia per più di due decenni. Una vita ricca, senza dubbio, anche se oggi il suo nome non è certo noto presso il grande pubblico. Sulle riviste scientifiche, è citatissimo per una delle sue scoperte, l'apparato di Golgi (organello dentro la cellula, che si occupa di preparare per l'uso le molecole prodotte dalla cellula stessa), ma non è certo ricordato per la sua grande innovazione, la “reazione nera”: un metodo di colorazione a base di sali d'argento che reagisce solo con alcune molecole presenti nel sistema nervoso, e tinteggia selettivamente solo i neuroni e i loro prolungamenti.

In questo modo, dal 1873 (anno della scoperta) si sono potute osservare al microscopio le intricate strutture nascoste del sistema nervoso, fino ad allora un intrico confuso in cui era praticamente impossibile distinguere qualcosa. Il Nobel del 1906 arrivò proprio per questa scoperta, e fu condiviso con lo spagnolo Santiago Ramon y Cajal, con cui Golgi ebbe una polemica scientifica molto forte nei decenni precedenti. Ramon y Cajal sosteneva infatti, a ragione, che i neuroni fossero entità discrete, separate tra loro. Gogli pensava invece a una rete nervosa unica, interconnessa non solo funzionalmente ma anche fisicamente. Uno scontro tra una posizione riduzionista (quella dello spagnolo) e una olista (quella di Golgi), che si protrasse per molto tempo e ebbe il suo culmine proprio alla cerimonia per il conferimento del premio Nobel.

Golgi, con un guizzo contrario a qualsiasi norma di eleganza, trasformò la sua lezione Nobel in un attacco durissimo contro le teorie del collega premiato con lui, di fatto mostrando poco rispetto anche per la stessa Accademia delle Scienze svedese. Fu questo probabilmente a segnare l'inizio del declino del mito di Golgi, secondo Paolo Mazzarello.

Golgi fino ad allora era infatti un personaggio centrale della scena scientifica internazionale: aveva compiuto scoperte decisive sul ciclo della malaria (mettendo in relazione il ciclo del plasmodio con le febbri periodiche tipiche della malattia, e distinguendo le diverse manifestazioni malariche legate alle diverse specie di parassita), e le grandi capacità sperimentali lo condussero a scoprire numerose strutture microscopiche del sistema nervoso e della struttura cellulare.

Questa corposa e profonda biografia ripercorre ogni tappa della vita scientifica e personale di Golgi, senza tralasciare praticamente nulla. Ogni ambiente con cui Golgi venne a contatto viene ricostruito nel dettaglio, ogni personaggio caratterizzato e contestualizzato. Sulla base di una bibliografia vastissima, che comprende tutto l'armamentario a disposizione dello storico (testi editi, archivi, interviste), la lettura del libro si rivela non solo la biografia di uno scienziato, ma la narrazione a tutto tondo di un periodo fondamentale per lo sviluppo culturale del Novecento.

giovedì 8 marzo 2007

Giganti dal genoma piccolo

Sebbene siano stati dei giganti tra gli animali, alcuni dinosauri presentavano genomi di piccole dimensioni, molto simili a quelli dei moderni uccelli. È quanto afferma un gruppo di scienziati dell’Università di Harvard (Usa) e di quella di Reading (Regno Unito) sull’ultimo numero di Nature. I ricercatori hanno confrontato il genoma di molte specie viventi con quello di 31 specie di dinosauri e uccelli estinti. Questi ultimi sono stati ricavati dalle cellule ossee (osteociti) estratte dai fossili ritrovati.
I risultati dello studio mostrano due diverse tendenze, ben distinte fra loro. Da una parte la famiglia dei Teropodi (cui appartengono carnivori famosi come il Tyrannosaurus rex e il Velociraptor), dall’altra quella degli Ornitischi (dinosauri erbivori dotati di becco, come lo Stegosaurus). Il genoma di questi ultimi era di dimensioni abbastanza elevate, simili a quelle di un moderno coccodrillo. Ma la vera sorpresa è il genoma dei Teropodi. Infatti la ricerca mostra che questi giganti avevano in realtà un genoma di dimensioni ridotte, molto simile a quello degli attuali uccelli.
Secondo gli studiosi, questa netta dicotomia è da attribuire a quantità distinte di Dna ripetitivo e non codificante nei due gruppi. I risultati mostrano così che il piccolo genoma degli uccelli potrebbe essersi evoluto a partire da quello dei Teropodi molto prima che si sviluppassero le moderne forme di volatili. I ricercatori suggeriscono quindi che in seguito il genoma dei Teropodi si sia stabilizzato per centinaia di milioni di anni, un processo che dura ancora oggi nei moderni volatili.
“Il nostro lavoro demolisce l'ipotesi che il genoma piccolo e povero di ripetizioni tipico degli uccelli si sia evoluto insieme alla capacità di volare, allo scopo di conservare energia”, ha commentato Scott V. Edwards, professore di Biologia dell'Evoluzione alla Harvard's Faculty of Arts and Sciences: “al contrario lo studio dimostra che il genoma dei dinosauri è emerso molto prima del primo uccello apparso sulla Terra. Un genoma di piccole dimensioni è l'ennesima caratteristica che accomuna dinosauri e volatili viventi, come le piume, la capacità di curare la prole e di costruire nidi”.
Fonte: Galileo 7-03-07

martedì 6 marzo 2007

Il business delle staminali

L'idea che le cellule staminali possano diventare la soluzione a tanti mali ha preso piede nell'immaginario collettivo.
La ricerca scientifica in questo campo sta facendo passi da gigante. C'è molto ottimismo per esempio verso il trapianto autologo per la cura della distrofia di Duchenne e per l'infarto del miocardio. Intanto, nel mondo proliferano cliniche e istituti che offrono terapie a base di staminali. Spesso però la promessa di una cura si rivela un'illusione, venduta a prezzi tutt'altro che illusori.
Un fenomeno mondiale
Gli istituti sul mercato si differenziano fra loro: c'è chi si occupa della conservazione delle cellule, chi le tratta, chi fa sperimentazione e chi pratica vere e proprie cure. Altrettanto articolato il panorama delle organizzazioni, dalle società di intermediari, alle banche del sangue, a piccole cliniche, fino ad arrivare a ospedali e centri di ricerca riconosciuti a livello internazionale.
Non esiste ancora uno studio ufficiale che permetta di stabilire con certezza quante siano le organizzazioni, ma è certo che sono in aumento, in particolare in quei paesi la cui la legislazione in materia è meno restrittiva.
Se in Svizzera, Gran Bretagna e Belgio è possibile la conservazione delle cellule staminali anche provenienti dall'estero, in Olanda, Russia (dove ci sono quindici cliniche con l'autorizzazione del governo per fare ricerca e cinque banche per la conservazione, la selezione e il trasporto delle cellule) e Ucraina si effettuano con facilità trapianti veri e propri.
A livello mondiale, una delle cliniche più attive, l'Institute for Regenerative Medicine, si trova alle isole Barbados, e promette con una semplice iniezione di staminali ogni sorta di trattamento: dalle gravi malattie degenerative al ringiovanimento, alla cura dello stress. Altre sono sorte in Messico e in Costa Rica.
Staminali sempre più on line
Una cosa che accomuna queste cliniche è l'uso di internet come mezzo per raggiungere il maggior numero di pazienti nel più breve tempo possibile.
Digitando "cellule staminali" sul più noto motore di ricerca, nella colonna a destra riservata alle inserzioni a pagamento, sono numerosi i siti elencati. La prima voce è quella di una "banca" che offre la conservazione per venti anni di cellule staminali per "uso personale". Poco sotto, lo slogan: "Sei incinta? Conserva le staminali del cordone ombelicale!"
Le strutture in Italia permettono di prenotare on line e ricevere a domicilio il kit per la raccolta del sangue cordonale, da spedire poi alle banche estere (nel nostro paese la conservazione è vietata).
Navigando i siti le immagini di bambini sorridenti, anziani dall'aspetto giovanile e ameni panorami, rassicurano il potenziale cliente. Gli accenni ai rischi o alle probabilità del fallimento della cura sono praticamente assenti. Difficilmente si trovano chiare informazioni sulla regolamentazione legislativa o sulle referenze di chi opera nel centro.
Anche effettuando la ricerca con il termine inglese stem cells le pubblicità non mancano: le cellule staminali diventano anche il rimedio per la banale calvizie, con slogan che sembrano invogliare alle cure come se fossero prodotti di largo consumo.
Siti come specchi per le allodole?
Aspetto e grafica delle home page danno spesso la parvenza di serietà e professionalità, ma non sempre le pratiche eseguite sono in regola. Per esempio, è dell'ottobre 2006 la notizia che l'ispettorato del ministero della Salute olandese ha ordinato al Preventief Medisch Centrum (Pmc) di Rotterdam di interrompere le procedure mediche sperimentali dove si utilizzavano le cellule staminali per la sclerosi multipla e altre patologie.
Nella struttura, organizzata a vari livelli come scatole cinesi in modo da aggirare le leggi con maggiore facilità, operano persone da tempo indagate dall'Fbi per frode ed evasione fiscale.
Il caso della clinica olandese è analogo a numerosi altri accaduti circa un anno prima in Russia, quando il Roszdravnadzor, l'ente addetto alle ispezioni sanitarie, aveva sospeso trentasette licenze a istituti che adoperavano cellule di origine sconosciuta e non avevano né permessi né certificati.
Recente la notizia che in Ucraina sarebbero stati eseguiti prelevamenti di cellule staminali da feti, anche ottenuti da aborti indotti. Ma il caso più clamoroso resta forse quello di John Dunphy, dirigente della Advanced Cell Therapeutics di Kork, in Irlanda. Il suo intento è circumnavigare, nel vero senso della parola, le norme vigenti nel suo paese, portando i pazienti su un traghetto e somministrando la terapia a base di cellule staminali in acque internazionali.
Fonte: Jekyll 22-01-07

sabato 3 marzo 2007

Le curiosità della Luna rossa

Fatti curiosi che probabilmente non tutti conoscono:
1.Ombre e luci
La causa del fenomeno è semplice: la «colpa» è della Terra, che si mette tra il Sole e la Luna e proietta la propria ombra esattamente sul nostro satellite. L’eclisse può avvenire soltanto quando la Luna è piena e quando si verifica un allineamento tra i tre protagonisti del grande show astronomico.
2. L’eccezionalità
Dato che è necessaria la Luna piena, è logico chiedersi perché ogni Luna piena non generi un’eclisse. Il fenomeno, in realtà, è relativamente raro, perché il piano dell’orbita è inclinato di 5 gradi rispetto a quello della Terra intorno al Sole. E’ necessario, quindi, che Luna, Terra e Sole possano «incontrarsi », secondo una serie di eventi in un ciclo - quello di Saros - che dura 18 anni.
3. La visibilità
Se le eclissi solari sono piuttosto numerose (in media da due a cinque l’anno), le zone dove sono visibili nella loro totalità sono molto circoscritte e ridotte a poche decine di chilometri: ecco il motivo per cui non è facile trovarsi nel corridoio giusto. E’ significativo che in ciascuna di queste aree la totalità si verifichi solo una volta ogni 360 anni. Le eclissi lunari, d’altra parte, sono meno frequenti, ma il fenomeno è osservabile con maggiore facilità, perché - di fatto - coinvolge tutta la fetta della Terra dove è notte.
4.Un punto inconsueto
Se un uomo fosse sulla Luna al momento dell’eclisse, vedrebbe la Terra fare da tappo alla luce del Sole: la luce, in realtà non scomparirebbe, ma il nostro Pianeta sarebbe avvolto da una corona fiammeggiante, amplificata dalla presenza dell’atmosfera.

5. Leggende

Ci sono molte vicende legate alle eclissi di Luna. Tra le più significative, quella totale del 3 aprile del 33 d.C., nella data generalmente accettata della crocefissione di Gesù, mentre un’altra si verificò durante uno dei viaggi di Colombo in Giamaica: gli indigeni si rifiutavano di fornire vettovaglie a Colombo. il quale, sapendo dell’imminente eclisse, li minacciò di togliere loro la luce lunare se non avessero portato quanto chiedeva. L’eclisse si verificò e lui ottenne tutto.

E la Luna sparì

Le eclissi, un po’ come le apparizioni di comete, non sono fenomeni così rari come si pensa. Ogni anno ne avvengono molte, ma, dal momento che sono visibili da un certo luogo e non da altri e dato che spesso sono modeste, soltanto poche sono veramente degne d’attenzione. E' il caso di questa notte. E’ l’unica delle 4 eclissi del 2007 visibile dall’Italia. Si dovrà poi aspettare fino al 2026 per trovarne un’altra altrettanto favorevole. A renderla tanto interessante è il fatto di essere totale e di verificarsi a cavallo della mezzanotte e quindi con le fasi culminanti mentre la Luna è più alta sull’orizzonte. L’inizio è alle ore 21 e 16 minuti, quando il bordo inferiore del disco lunare inizia a lambire la penombra terrestre. Durante un’eclissi totale la Luna dovrebbe essere completamente oscurata, dato che il cono d’ombra terrestre è sufficiente a contenere il nostro satellite. Invece è facile rendersi conto che assume una colorazione rosso-bruna. La causa è nell’atmosfera terrestre, che rifrange i raggi solari, maggiormente la radiazione rossa, la quale riesce in parte a penetrare nel cono d’ombra ed a conferire un po’ di rossore al disco lunare, mentre la radiazione violetta subisce una minore deflessione e non raggiunge l’astro. L’astronomo André Danjon nel 1920 propose di classificare le eclissi in base alla luminosità e alla colorazione che assume la Luna. Si definiscono di classe 0, se sono scure, con disco talora del tutto invisibile; di classe 1, quando la Luna assume una colorazione grigiastra o marrone in cui è difficile distinguere dettagli; di classe 2, quando appare di colore rosso cupo, con ombra scura e bordo chiaro; di classe 3, se la Luna acquista un colore rosso mattone, con l’ombra contornata da una zona grigia-giallastra; la classe 4 etichetta le eclissi chiare, di colore rossorame o arancione. Danjon aveva ideato questa scala per analizzare le proprietà dell’atmosfera: è risaputo infatti che le polveri ed alcuni gas assorbono la luce solare, ma non ebbe modo di servirsene. Nel 2005 è apparso un resoconto di Oleg Ugolnikov e Igor Maslov del Centro di Ricerche Spaziali di Mosca: hanno studiato con tecniche fotometriche le ultime eclissi per desumere le concentrazioni di aerosol negli strati della troposfera.

Fonte: TuttoScienze 28-03-07

I siti: http://sunearth.gsfc.nasa.gov/; http://aa.usno.navy.mil/data/; http://www.mreclipse.com/;

giovedì 1 marzo 2007

A proposito di farmaci...

L’abuso dei medicinali supererà presto quello delle droghe illegali. È già successo negli Usa, dove l’utilizzo di antidolorifici, stimolanti, sedativi e tranquillanti, è superiore a quello di ecstasy, cocaina, eroina. E il problema non risparmia l’Africa, l’Asia del sud e l’Europa. Sempre più persone utilizzano oggi i medicinali come droghe, spesso contraffatti o venduti sul web senza prescrizione medica, secondo l’ultimo rapporto del Comitato internazionale per il controllo dei narcotici (Incb), presentato lo scorso 28 febbraio a Roma.
Gli americani che abusano dei farmaci sono quasi raddoppiati: i 7,8 milioni del 1992 sono diventati 15,1 milioni nel 2003. Tra il 2002 e il 2005, l’abuso di ossicodone, un antidolorifico, è cresciuto quasi del 40 per cento con una prevalenza del 5,5 per cento tra gli studenti dell'ultimo anno delle superiori. In Nigeria la pentazocina, un analgesico, é al secondo posto fra le droghe usate per via endovenosa. Anche in Europa, Italia compresa, c’è una distribuzione incontrollata di benzodiazepine o di barbiturici, seguiti dalle sostanze anoressanti.
Ad aggravare la situazione, dicono gli esperti, è anche la facilità con cui reperire i farmaci tramite Internet. Secondo l’Incb l’85 per cento delle cyber-farmacie non chiede alcuna prescrizione. Emerge con forza dal rapporto l’esistenza di un mercato parallelo e non regolato di farmaci. Spesso si tratta di medicinali rubati e dirottati dai canali autorizzati, contraffatti o venduti illegalmente senza ricetta. Nei paesi in via di sviluppo dal 25 al 50 per cento dei medicinali consumati risulta contraffatto, con conseguenze che possono essere letali.
C'è poi il mondo delle sostanze stupefacenti nel rapporto Incb: anche lì traffico e consumo sono in aumento. L’Afghanistan è sempre in pole position per la produzione di oppio, mentre l’Europa è seconda solo agli Stati Uniti per consumo di cocaina. La coltivazione illegale di papaveri da oppio in Afghanistan ha fatto segnare un aumento del 59 per cento nel 2006 e la produzione di quasi il 50 per cento, fino a toccare quota 6.100 tonnellate. I paesi attraverso i quali si fanno passare i carichi illegali sono la Repubblica Islamica dell’Iran, il Pakistan e i paesi dell’Asia centrale. L’Africa invece è afflitta dal traffico di cocaina: le reti di narcotraffico la utilizzano l’Africa come zona di transito per contrabbandare la cocaina sudamericana. Come succede anche ai paesi dell’America centrale e ai Carabi, principale area di transito per le spedizioni di coca dal Sud america al Nord e all’Europa.
Fonte: Galileo 1-03-07