giovedì 26 aprile 2007

Arriva il nanonaso

Sarà un nanosensore a diagnosticare le malattie: questo lo scenario che Vince Rotello, dell'Università del Massachusetts, e i ricercatori del Georgia Institute of Technology prospettano in un articolo pubblicato su Nature Nanotechnology. Un nanonaso chimico composto da particelle d'oro con diversi rivestimenti imiterà il comportamento del sistema olfattivo umano, e analizzerà i fluidi corporei per individuarne la composizione ed eventuali sbilanciamenti nella proporzione dei valori, che possano segnalare la presenza di malattie.
Il nanosensore, benché venga definito da New Scientist nanonaso, analogamente al progetto di diagnostica molecolare a cui collaborano Intel e il Fred Hutchinson Cancer Research, non è incentrato sulla percezione olfattiva, a differenza di altri progetti di tecnologia senziente che trovano applicazione nell'ambito dell'analisi e della riproduzione di odori.Il progetto è così definito, piuttosto, perché, al pari della mucosa olfattiva che riveste le cavità nasali dell'uomo, non è costituito da un sensore deputato a distinguere un singolo "segnale", ma opera su una molteplicità di parametri, con una molteplicità di recettori.
Il sistema sviluppato dal team di ricercatori americani è infatti composto da sei sensori d'oro della dimensione di due nanometri, due milionesimi di millimetro ciascuno, ricoperti da molecole organiche di diversa composizione. I legami che si sviluppano tra le particelle che rivestono i sensori e le molecole dei composti che interagiscono con esse, sono la base sulla quale il nanonaso è in grado di determinare le combinazioni di elementi dei composti con cui viene a contatto.
Le differenti proteine presenti nei composti, infatti, sviluppano dei legami chimici con i recettori del sensore, legandosi in maniera più solida ad alcuni di essi. Il meccanismo si rivela all'osservazione grazie a delle molecole "civetta" con le quali sono ricoperti i recettori: le proteine che fanno parte del composto, legandosi con i recettori, scalzano la "molecola civetta" dalla sua posizione, sviluppando una fluorescenza di un'intensità proporzionale alla forza del legame. In base all'osservazione degli schemi della fluorescenza emessa, è possibile distinguere i tipi di proteine con cui il sensore viene a contatto, nel 96% dei test effettuati.
Il team di ricercatori ritiene che questo tipo di analisi, che opera sulla globalità di un composto e non mira ad individuare la presenza di un solo elemento segnalatore, possa rappresentare il futuro per la diagnostica molecolare delle malattie. Test di laboratorio effettuati su campioni di plasma estratto dal sangue di cavie sane e malate stanno iniziando ad aiutare i ricercatori ad affinare il sistema di nanosensori chimici e ad individuare le correlazioni tra malattie e composizione del plasma.
Vince Rotello, a capo del progetto, si mostra entusiasta dei risultati ottenuti finora, e traccia una prospettiva lungimirante per la diagnosi precoce: "Con il procedere delle ricerche potremo stabilire quale "odore", cioè quale composizione è indicativa di malattie come il cancro".
Fonte: MolecularLab 26-04-07

La birra perfetta

Un boccale di birra ideale? Dovrebbe conservare a lungo quel soffice e denso strato di schiuma, che di norma svanisce in pochi minuti. Ma presto le cose potrebbero cambiare. Il segreto è tutto in una formula matematica, che promette di migliorare le tecniche di fermentazione. A scoprirla Robert MacPherson dell’Institute for Advanced Study di Princeton e David Srolovitz della Yeshiva University di New York.
I due ricercatori americani, che hanno pubblicato i loro calcoli su Nature, hanno trovato l’equazione che permette di predire come la schiuma della birra cambia aspetto una volta nel bicchiere. Il risultato è stato raggiunto estendendo la formula messa a punto 50 anni fa da John von Neumann per stabilire il tasso di crescita di una cellula in una struttura a due dimensioni. A differenza di quella di Neumann, questa equazione vale in tre o più dimensioni.
Ma vediamo di cosa si tratta. I tessuti biologici sono dotati di specifiche strutture cellulari, così come metalli e ceramiche sono costituiti da una rete di granuli separati fra loro. In molte situazioni, le pareti di queste cellule o granuli si muovono per effetto della tensione superficiale con una velocità proporzionale alla loro curvatura, facendo cambiare l’intera struttura. È esattamente quello che accade alla schiuma della birra. Le pareti delle bolle si muovono, si mescolano e la schiuma si deposita fino a scomparire del tutto. “Ogni singola bolla presente nella birra cambia una volta che la bevanda è nel bicchiere. Ciò per effetto di alcune proprietà che fanno parte della nostra equazione: la diffusività del gas all’interno delle bolle e la tensione superficiale”, spiega Srolovitz.
“Queste proprietà fanno sì che le bolle piccole si ritirino, mentre quelle grandi aumentino. Per effetto della gravità, il liquido contenuto in queste ultime tende a uscire, premendo sulle pareti e provocandone lo scoppio”. Il risultato finale è che la densa e bianca schiuma tipica di un bicchiere di birra appena spillato scompare. L’equazione, affermano i ricercatori, potrà suggerire tecniche per migliorare le pratiche di fermentazione.
Fonte: Galileo 26-04-07

sabato 21 aprile 2007

Il futuro della ricerca in Francia

I candidati puntano sulla ricerca: accade in Francia, dove i tre contendenti al primo turno delle elezioni presidenziali – Ségolène Royal, Nicolas Sarkozy e François Bayrou – hanno risposto alle domande poste loro da Nature, e hanno dichiarato le loro intenzioni in caso di vittoria.
Bayrou, esponente dello schieramento di centro, promette un aumento del cinque per cento dei finanziamenti alla ricerca ogni anno, per i dieci anni a venire. Rilancia la candidata socialista, e prefigura investimenti superiori del dieci per cento a quelli attuali nel settore della tecnologia e innovazione, per i suoi prossimi cinque anni di presidenza. L’uomo forte della destra, Sarkozy, ritiene che ai laboratori e agli enti di ricerca non possano andare meno di quattro miliardi di euro in più, e che almeno cinque miliardi di euro siano necessari per sviluppare l’istruzione superiore.
Concordi sulla necessità di introdurre riforme nel sistema, i tre candidati differiscono invece nelle strategie. Sarkozy vorrebbe plasmare il sistema francese, dominato da grandi enti pubblici, sul modello anglosassone, nel quale le università vengono finanziate in base ai progetti presentati, mentre Bayrou e Royal hanno in mente riforme meno radicali e più tagliate sulla situazione esistente.
Dal punto di vista ambientale, Royal promette una riduzione del 75 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2050, e punta sulle fonti rinnovabili per sganciarsi dal nucleare, mentre Sarkozy chiede che paesi come Stati Uniti e Cina, poco propensi a seguire i dettami di Kyoto, vengano sanzionati dagli organismi internazionali come il Wto (World Trade Organization) in caso di superamento dei limiti di emissione.
Infine, sul tema Ogm, Royal e Bayrou si mostrano a favore di una moratoria sulle coltivazioni in campo aperto, e si dicono convinti della necessità di un maggiore dibattito pubblico sul tema. Qualche perplessità sulle biotecnologie in campo agroalimentare la mostra anche Sarkozy: che sebbene sia contrario alla moratoria, chiede che ulteriori studi verifichino la sicurezza degli alimenti Ogm.
Fonte: Galileo 20-04-07

giovedì 19 aprile 2007

Staminali salva-ictus

Riparare i danni causati da una ischemia cerebrale utilizzando le cellule staminali. È quanto sono riusciti a fare i ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano nel corso di uno studio svolto in collaborazione con l’Istituto neurologico Besta di capoluogo lombardo e l’Università di Losanna, pubblicato su Plos One.
L’idea di base della ricerca è stata quella di ridare funzionalità al tessuto danneggiato in seguito a un ictus attraverso l’innesto di cellule staminali. In particolare, il team ha utilizzato un tipo di staminali, quelle ottenute dalle neurosfere, ovvero gli agglomerati cellulari progenitori delle cellule cerebrali. “Una volta iniettate nell’area cerebrale ischemica di alcuni topi, queste cellule hanno indotto la produzione di fattori protettivi da parte del tessuto stesso”, spiega Maria Grazia De Simoni, a capo del gruppo di ricerca del Mario Negri. “In sostanza, esse mandano dei segnali al cervello inducendolo a produrre fattori trofici, cioè molecole che, sebbene non riportino in vita i neuroni morti dopo l’ictus, proteggono quelli danneggiati evitando che facciano la stessa fine e restaurando le funzioni cerebrali”.
Nonostante non sia ancora noto il tipo di segnale con cui le staminali inducono questa neuro-protezione, i ricercatori hanno individuato il ruolo in questo processo della microglia, una specifica popolazione di cellule che costituiscono il sistema nervoso. Proprio queste, che finora si credeva avessero solo un ruolo tossico e infiammatorio, collaborano con le cellule staminali alla produzione dei fattori protettivi del cervello. “L’altro aspetto positivo dello studio”, afferma De Simoni, “è che le staminali da noi iniettate restano nel cervello solo per pochi giorni e poi vengono eliminate. Un fatto importante, se si pensa alla potenziale capacità delle cellule staminali indifferenziate di generare tumori”.
Fonte: Galileo 19-04-07

martedì 17 aprile 2007

La scienza parla catalano

"Vogliamo che la scienza penetri nella società e che la società si ponga attivamente nel dibattito scientifico" è quello che afferma Jordi Hereu sindaco di Barcellona all'apertura dell'anno della scienza catalano.
Barcelona Ciencia 2007 si presenta infatti con un'agenda ricchissima di appuntamenti che puntano a promuovere Barcellona come la capitale europea della scienza. Saranno almeno ottanta le istituzioni coinvolte tra università, musei e centri di ricerca, per più di duecentocinquanta attività e un investimento totale da 3,5 milioni di euro. Grosse cifre, quindi, per un progetto che nasce già nel 2002, quando il comune di Barcellona appoggiò il piano d'azione europeo "Science and Society" per la diffusione di una cultura scientifica nella città.
L'evento è in realtà il cuore di un'iniziativa ben più ampia: Ciencia 2007 che coinvolge la Spagna intera, isole Baleari e Canarie comprese. Questo fermento scientifico e culturale è pronto a investire anche il Portogallo, scelto come sede del prossimo Ecsite, la conferenza europea dei musei e dei centri scientifici, che si aprirà il 31 maggio a Lisbona.
Ma l'obiettivo di Barcelona Ciencia 2007 è ancora più ambizioso. Il capoluogo catalano vuole diventare un riferimento per la scienza in tutta Europa. Sarà proprio qui che il 25 e il 26 ottobre si terrà a battesimo Escity (Europe, Science and the City: promoting scientific culture at local level): un progetto europeo che ha lo scopo di costruire una rete di città della scienza. Vladimir de Simir, direttore dell'osservatorio sulla comunicazione scientifica dell'Università Pompeu Fabra, è il principale promotore del progetto. La sua idea è di creare un'arena pubblica di dibattito a livello europeo, la cui anima siano le diverse realtà locali.
Gli itinerari scientifici toccheranno vari punti della città come il parco della Ciutat Vella, il Museo di Scienze Naturali, il Giardino Botanico e l'Aquarium. Il festival della scienza rappresenterà solo un motivo in più per invadere la rambla.
A luglio si terrà la XXIV conferenza mondiale sui parchi scientifici organizzata dal Parc Tecnològic del Vallès. Il primo parco scientifico catalano che festeggia venti anni proprio in coincidenza dell'evento. A ottobre saranno i media a prendere la parola nella conferenza europea sul giornalismo scientifico.
Fonte: Jekyll

L'ipertensione è nel cervello

La causa della pressione alta, finora attribuita al cuore e all'apparato circolatorio, potrebbe invece nascondersi nel cervello.
Secondo uno studio dell'Università di Bristol (Gb) in pubblicazione sulla rivista Hypertension, la responsabile di una patologia di cui soffrono circa 15 milioni di italiani e 600 milioni di persone nel mondo, sarebbe la proteina Jam-1. I ricercatori sono riusciti a isolare la proteina nei topi affetti da ipertensione (è invece assente nei topi sani) nell'area deputata ai meccanismi di controllo della pressione nell'organismo. Precisamente, Jam-1 si trova nel bulbo del tronco, situato sotto il cervelletto. Sarebbe quindi l'anossia nella zona del bulbo a scatenare una serie di reazioni che in ultimo sfociano nell'ipertensione.
Ma come avviene questo processo? Anche se il funzionamento esatto non è ancora chiaro, i ricercatori britannici spiegano che la proteina Jam-1 imprigiona i globuli bianchi, provocando un'infiammazione che altera la circolazione del sangue e riduce l'apporto di ossigeno nel cervello. A loro avviso, quindi, la pressione alta è una malattia vascolare infiammatoria che nasce del cervello, più che una malattia dovuta al malfunzionamento di cuore e vasi sanguigni.
Sebbene la pressione alta sia un disturbo multifattoriale, in cui sono molte le variabili in gioco, aver individuato l'esistenza di cause inattese legate all'invio di sangue al cervello apre nuove strade di cura. Anche se spesso asintomatica, l'ipertensione può provocare infarti e crisi cardiache, e danneggiare i reni. Jam-1 potrebbe diventare un target farmacologico per curare la malattia, almeno per quei pazienti che non rispondono alle terapie convenzionali. “La nuova sfida sarà capire il tipo di infiammazione delle vene del cervello, così sapremo quali farmaci utilizzare e come dirigerli”, ha affermato Jiulian Paton, che ha seguito lo studio.
Fonte: Galileo 16-04-07

Le carie dell'Homo sapiens

Forse i nostri lontani antenati avevano meno carie di noi, anche perché non mangiavano caramelle e cioccolata, eppure nei denti dei primi Homo sapiens si annidava il batterio Streptococcus mutans, il responsabile della carie.
Lo hanno scoperto alcuni scienziati della New York University College of Dentistry, ripercorrendo la storia genetica del microrganismo. Dall’analisi di 600 campioni provenienti dai diversi continenti emerge che il batterio iniziò ad evolversi con il suo antico ospite, che viveva in Africa tra i 100 e i 200 mila anni fa.
E da allora non lo ha più abbandonato!

venerdì 13 aprile 2007

una causa per più malattie

Le due principali cause di ritardo mentale, la sindrome di Down e quella dell'X fragile potrebbero derivare da una causa comune, ossia lo sviluppo di una rete di comunicazione neuronale cerebrale deficitaria, e così pure l'autismo. Questo è quanto risulterebbe da due ricerche condotte presso la Stanford University School of Medicine, entrambe coordinate da Daniel Madison, i cui risultati sono pubblicati sul numero odierno del Journal of Neuroscience, per quanto riguarda le sindrome dell'X fragile, e sul numero del 15 aprile prossimo del Journal of Physiology, per quanto riguarda la sindrome di Down.
Responsabile della sindrome dell'X fragile è un gene, chiamato Fmr1, situato sul cromosoma X. Dato che i maschi possiedono una sola copia di questo cromosoma, sono in genere colpiti in modo più severo dalla malattia quando Fmr1 è mutato; tuttavia anche le femmine non sono immuni dalla patologia, a causa della cosiddetta inattivazione X, un fenomeno per cui viene silenziato a caso uno degli elementi della coppia di cromosomi X, che in questo caso dà origine a un mosaico di neuroni cerebrali alcuni dei quali sono deficitari e altri no. In altre condizioni potenzialmente patologiche legate al cromosoma X, come l'emofilia, le cellule normali riescono a compensare l'inefficienza di quelle malate, ma questo non avviene in generale per la rete dei neuroni cerebrali, in cui la buona cooperazione fra tutti gli elementi è essenziale.
Per realizzare lo studio i ricercatori hanno realizzato un topo mutante in cui vi erano solo alcune cellule cerebrali con il gene mutante Fmr1, le quali hanno mostrato di avere molte maggiori difficoltà di quelle normali a formare connessioni sinaptiche. In questo cervello "a mosaico", le cellule normali possono riuscire ad aggirare i vicoli ciechi che si formano nella rete a causa dei neuroni con il gene Fmr1, ma la sua struttura complessiva appare meno articolata. "Se per esempio il 10 per cento dei vostri neuroni normali si deve far carico della metà di tutto il lavoro neuronale, è inevitabile che la capacità di trasmissione delle informazioni del vostro cervello si abbassi", ha osservato Madison.
Lo studio ha però messo in evidenza anche un altro importante aspetto: "Finora - ha sottolineato Madison - in questo campo l'enfasi era stata posta sulle difficoltà di ricezione dei neuroni, ossia a livello post-sinaptico. Ma i nostri risultati mostrano inequivocabilmente che sono le cellule presinaptiche quelle rilevanti in questo difetto." Esattamente lo stesso tipo di risultati è stato ottenuto nel parallelo studio condotto su topi con l'analogo murino della sindrome di Down. "Riteniamo che questa ridotta complessità delle reti sia alla base del ritardo mentale che si verifica in entrambe le sindromi", ha concluso Madison. "Se riuscissimo a compensare le deficienze sinaptiche delle cellule mutanti, potremmo incominciare a pensare al modo di incrementare le capacità mentali dei pazienti con sindrome di Down o dell'X fragile."
Fonte: Le Scienze 12-04-07

venerdì 6 aprile 2007

Il sole a Pasqua! un evento più unico che raro

A quanto pare quest'anno il week-end di pasqua sarà baciato dal sole. Da quanto tempo non si manifestava un fenomeno del genere?
Cercando tra i miei ricordi, che sono solitamente solidi, non so darvi una risposta, la pasqua è sempre associata alla pioggia e alla delusione.
E a cosa dobbiamo il piacere quest'anno? Al cambiamento climatico?...
Potrebbe darsi, tanto ormai non si parla che di questo. Sull'ANSA di oggi ci sono almeno 5 notizie allarmanti sul clima. Io non so più se allarmarmi o no, però se ci può dare un pò di sole questo week-end (che è il mio primo week-end libero dopo 2 mesi di lavoro ininterrotto)... ben venga!
BUON SOLE A TUTTI

giovedì 5 aprile 2007

La taglia è nel DNA

Dal chihuahua all'alano, i cani sono i mammiferi che si diversificano maggiormente in grandezza. Ma da cosa dipende la taglia del miglior amico dell'uomo? Alla base di tutte le piccole razze, come emerge da uno studio pubblicato su Science e guidato dal National Human Genome Research Institute (Nhgri) statunitense, c'è una variante genetica.
Finora era un mistero come i cani, che discendono dai lupi, non avessero caratteristiche costanti come i loro antenati, ma fossero così diversi tra loro. Lo studio ha preso inizialmente in esame il cane da acqua portoghese, una razza che mostra una straordinaria varietà di dimensioni dello scheletro. Le analisi genetipiche e il sequenziamento del Dna hanno rivelato che le differenze nelle dimensioni sono associate con piccole variazioni genetiche in un singolo nucleotide nel gene Igf1. Successivamente l'indagine è stata estesa a più di 3.000 animali di 143 razze diversa, confermando che tutti i cani di piccola taglia possiedono nel Dna lo stesso gene che codifica per il fattore di crescita insulino-simile Igf1 (insulin-like growth factor1). La variazione di tale gene risale a più di 15 mila anni fa, quando fecero la loro comparsa i primi cani di piccole dimensioni.
L'ipotesi dei ricercatori è che i cani di piccola taglia furono i primi ad essere addomesticati per proteggere il raccolto o cacciare selvaggina, in quanto era più facile rispetto ai cani grandi tenerli all'interno dei confini domestici e trasportarli nei viaggi o nelle migrazioni. Le prossime ricerche puntano a identificare i geni che controllano altri aspetti della morfologia canina, quali la lunghezza delle zampe e la forma del cranio.
Fonte: Galileo 5-04-07

lunedì 2 aprile 2007

Sangue per tutti

Trasformare i globuli rossi dai gruppi sanguigni A, B, AB a quello 0. Ovvero, avere la possibilità di rendere tutti donatori universali. La scoperta fatta da un gruppo di ricercatori provenienti da diversi paesi (tra cui Stati Uniti, Danimarca, Francia) promette di far diventare questa ipotesi una realtà.

I globuli rossi di ogni persona portano sulla loro superficie delle molecole che li caratterizzano. Queste molecole, chiamate antigeni, possono essere di tipo A, B o possono essere assenti. Una persona i cui globuli rossi hanno antigeni di tipo A sarà definita di gruppo A ed avrà anticorpi contro le molecole di tipo B. Se una persona con un gruppo sanguigno A riceve il sangue da una persona con gruppo B, i suoi anticorpi distruggono i globuli rossi trasfusi provocando una reazione gravissima. Al contrario, chi ha i globuli rossi caratterizzati dall'antigene B appartiene al gruppo sanguigno B e avrà anticorpi contro il tipo A. Ci sono poi persone che hanno cellule con entrambi gli antigeni (il gruppo sanguigno AB) e che non hanno anticorpi contro gli antigeni di gruppo: sono dunque chiamati riceventi universali perché possono ricevere il sangue da qualsiasi donatore. Infine, ci sono persone che non hanno nessun antigene sulla superficie dei loro globuli rossi (gruppo 0). Il sangue di questi donatori universali può essere trasfuso a tutti senza rischi. Tuttavia, queste persone possono ricevere sangue solo da donatori di gruppo 0 che sono rari e molto richiesti.

Il gruppo che ha pubblicato la ricerca sulla rivista Nature Biotechnology, è riuscito a identificare e produrre degli enzimi che rimuovono dalla superficie del globulo rosso gli antigeni rendendo così il sangue di gruppo 0. Arrivare a questo risultato non è stato semplice. I ricercatori hanno valutato l'attività di oltre 2.500 enzimi prodotti da funghi e batteri per individuare quelli giusti. Se le sperimentazioni cliniche dimostreranno la possibilità di utilizzare per le trasfusioni questo sangue, si potrebbero avere trasfusioni più sicure e meno carenze di sangue.

Fonte: L'Unità 2-04-07

domenica 1 aprile 2007

Forbici molecolari

Si tratta – stando a quanto dichiarato dai ricercatori – del primo esempio noto di una macchina molecolare capace di manipolare le molecole con l’aiuto della luce.
“Il dispositivo misura solo tre nanometri in lunghezza ed è abbastanza piccolo di poter essere utilizzato per far arrivare farmaci alle cellule o per manipolare geni e altre strutture biologiche: chimici e biochimici potrebbero per esempio utilizzarlo per controllare in modo preciso l’attività delle proteine”, ha spiegato Takuzo Aida, docente di chimica e biotecnologie dell'Università di Tokyo, all’annuale convegno dell'American Chemical Society.
Le forbici molecolari sfruttano la fotoreattività di alcuni gruppi chimici che si ripiegano o si estendono in funzione della lunghezza d’onda della radiazione che arriva a incidere su di essi. Proprio come quelle di dimensioni macroscopiche, le forbici molecolari sono formate da un’impugnatura, da un perno e da un paio di lame. La parte che fa da perno è costituita da una struttura a due strati costituita da ferrocene chirale un composto “a sandwich” costituito da un atomo di ferro tra due anelli ciclopentadienilici. A produrre il moto sono due molecole di azobenzene, che non solo hanno la proprietà di poter assorbire la luce, ma si trovano in due forme isomeriche, una corta e una più lunga. Dopo l’esposizione dalla luce ultravioletta, la forma lunga è convertita il quella corta. Il processo inverso è invece indotto dall’esposizione alla luce visibile.
Fonte: Le Scienze 26-03-07

Farmaci low-cost

Un nuovo metodo di sintesi per i farmaci senza impiego di sostanze tossiche, né produzione di varianti dannose e a costi notevolmente inferiori. Il gruppo di chimici del Merck Center for Catalysis della Princeton University, guidati da David MacMillan, hanno annunciato su Science la scoperta di un gruppo di molecole con funzione di catalizzatore, potenzialmente in grado di rivoluzionare i metodi di sintesi dell’industria farmaceutica. Come sottolinea lo stesso MacMillan, è stato trovato molto più di una nuova reazione chimica: “Questo è un innovativo meccanismo di attivazione molecolare tramite il quale sarà possibile far avvenire un’intera, nuova categoria di reazioni”.
Entusiasti i commenti degli addetti ai lavori, tra i quali John Schwab, chimico presso il National Institute of Health (Nih), e di Gregory Fu, ricercatore del Massachusetts Institute of Technology (Mit). La maggior parte dei farmaci prodotti oggi esiste sotto due forme chimiche uguali ma tridimensionalmente speculari, dette enantiomeri. Gli effetti provocati dall’una o dall’altra, tuttavia, possono essere drammaticamente diversi. Attualmente non esistono metodi di analisi in grado di distinguere tra le due forme chimiche, per cui la statunitense Food and Drug Administration richiede alle compagnie farmaceutiche di sintetizzare esclusivamente il “giusto” enentiomero, con notevoli costi produttivi. Tali processi di sintesi fanno uso di catalizzatori, ossia molecole che favoriscono le reazioni rimanendo inalterati al termine della reazione stessa.
La maggior parte dei catalizzatori oggi usati porta alla produzione di entrambi gli enantiomeri, tuttavia il gruppo di MacMillan si è voluto concentrare sull’individuazione di molecole in grado di effettuare una catalisi asimmetrica, ossia di produrre selettivamente una sola delle forme enantiomeriche. E’ stato così scoperto il meccanismo d’azione di un gruppo di catalizzatori asimmetrici organici a basso costo, resistenti all’acqua e all’aria e compatibili con l’ambiente, che permettono di lavorare con aldeidi e chetoni, i gruppi chimici più interessanti per l’industria farmaceutica.
Fonte: galileo 30-03-07