mercoledì 28 febbraio 2007

Malaria: il primo farmaco no-profit

Domani (1 marzo) verrà lanciato un farmaco contro la malaria che si può definire rivoluzionario: non è coperto da brevetto, può essere copiato da chiunque e, più semplicemente, non ha come scopo il profitto.
L'Asaq, questo il suo nome, è frutto di una collaborazione tra "Drugs for Neglected Diseases Initiative" (Dndi), ente non profit di ricerca e sviluppo fondato nel 2003 da Medici Senza Frontiere, e il laboratorio farmaceutico francese Sanofi-Aventis. E' il primo farmaco prodotto secondo i criteri del Dndi che rappresentano novità assolute, tanto che il supplemento economico del quotidiano francese "Le Monde" gli ha dedicato la sua prima pagina, definendolo nel titolo "Il farmaco che sconvolge l'industria farmaceutica".
Il prezzo di un trattamento intero non dovrebbe superare 1 dollaro per un adulto e la metà per un bambino. Il farmaco deve il nome alla sua combinazione a dosaggio fisso di Artesunate (AS) e Amodiaquine (AQ) ed è il primo nato da una collaborazione tra il settore pubblico e privato. La semplice esistenza dell'Asaq testimonia sopratutto della nascita di un nuovo modo, ancora sperimentale, di proggettare, sviluppare e produrre farmaci.
Per comprendere l'importanza di queste innovazioni, bisogna risalire al 2001. In Sudafrica prese il via un processo destinato a fare Storia. La grande lobby delle industrie farmaceutiche, ribattezzata "Big Pharma", intentò una causa contro il governo sudafricano per impedire l'autoproduzione e l'importazione a basso costo dei medicinali per combattere l'Aids. L'obiettivo era quello di bloccare il Medical Act, una legge del 1997 voluta da Nelson Mandela che autorizzava le industrie sudafricane ad autoprodurre i farmaci per curare l'Aids senza doverli acquistare, a costi elevatissimi, dalle multinazionali farmaceutiche. I laboratori, spaventati dalle eventuali ricadute dell'iniziativa legale sull'opinione pubblica, abbandonarono la causa ma la situazione complessiva non cambiò. Un simile braccio di ferro ebbe luogo anche in Brasile.
Il Dndi è la risposta di Medici senza frontiere a "Big Pharma", la lobby dei laboratori farmaceutici. La scelta dell'ente è quella di occuparsi di malattie "dimenticate" dalla ricerca farmaceutica tradizionale, per le quali i laboratori non hanno interesse economico a sviluppare rimedi. La malaria è una di queste, una malattia infettiva mortale che colpisce ormai solo zone disagiate del pianeta dove i malati non potrebbero comunque comprare i farmaci a un prezzo di mercato e garantire profitti ai laboratori farmaceutici. Il Dndi si propone di coordinare lo sviluppo di farmaci il cui principio di base è di essere venduti al prezzo di costo e di non essere coperti da alcun brevetto.
Il lancio dell'Asaq, il "no-profit" antimalaria, segna l'avvento di un nuovo modo di concepire il farmaco, analogo al concetto dei software open source: l'invenzione non è di nessuno e dunque a disposizione di tutti e quindi soggetta via via a migliorie. In questo caso, della vita.
Fonte: La Repubblica 27-02-07

martedì 27 febbraio 2007

Tracce di un'antica intolleranza

È una capacità relativamente recente quella che consente al 90 per cento degli abitanti scandinavi e nordeuropei di digerire il latte. La mutazione genetica che rende possibile la digestione, infatti, era assente nelle antiche popolazioni europee del Neolitico. Lo dimostra un gruppo di antropologi e genetisti della University College London, in uno studio pubblicato su PNAS.
La capacità di digerire il latte è dovuta ad un enzima – la lattasi – che scinde il lattosio in zuccheri più facilmente digeribili. La produzione di quest’enzima, importante per i bambini fino allo svezzamento, si riduce con la crescita e da adulti si può sviluppare intolleranza al lattosio, con crampi e diarrea. Nell'Europa settentrionale è diffusa una variante del gene per la lattasi, che resta attiva per tutta la vita. Mutazioni differenti consentono la tolleranza al latte anche ad alcune etnie africane. La mutazione appare, invece, rara nel resto della popolazione mondiale. La teoria più diffusa è che questa tolleranza abbia avuto origine in Europa circa settemila anni fa, in coincidenza con la comparsa dei primi allevamenti di bestiame.
Questo studio ha fornito una prova diretta a supporto di questa teoria. I ricercatori hanno estratto ed analizzato il Dna da 55 reperti ossei provenienti da cinque differenti siti archeologici europei. Le ossa appartenevano a nove scheletri datati tra il 5840 e il 5000 a.C. Nessuno possedeva nella sequenza genica che controlla l’espressione della lattasi la mutazione che determina la tolleranza negli europei moderni. Secondo i ricercatori, è la conferma della teoria che la mutazione sarebbe insorta e divenuta prevalente a causa della selezione naturale. Determinò, infatti, un vantaggio evolutivo in termini di sopravvivenza: con l'addomesticamento di ovini e bovini, gli individui tolleranti potevano disporre di un alimento facilmente reperibile per nutrirsi e dissetarsi (per di più utile per assimilare meglio il calcio).
Fonte: Galileo 27-02-07

lunedì 26 febbraio 2007

Pelle: una fabbrica di neuroni?

Gli scienziati della Facoltà di medicina dell’Université Laval di Quebec City sono riusciti a produrre neuroni in vitro utilizzando cellule staminali estratte da pelle umana di soggetti adulti.
“Si tratta della prima volta che si raggiunge uno stadio così avanzato di una cellula nervosa a partire da una cellula cutanea”, ha commentato François Berthod, ricercatore che ha guidato il gruppo di ricerca che firma un articolo apparso sulla rivista “Cellular Physiology”.
L’ampia disponibilità di cellule cutanee è dovuta agli interventi di chirurgia plastica. I ricercatori canadesi hanno sottoposto i campioni di pelle a vari trattamenti per estrarre i precursori dei neuroni, che vengono successivamente coltivate in vitro. La pelle non contiene neuroni, ma solo le loro estensioni, chiamate assoni. La sfida dei ricercatori era perciò di produrre neuroni d cellule indifferenziate piuttosto che moltiplicare i neuroni da cellule nervose.
Le prove condotte dai ricercatori hanno dimostrato che le cellule staminali ottenute dalla pelle possono proliferare e differenziarsi in vitro se poste in un ambiente appropriato, dove acquisiscono progressivamente la forma oblunga tipica dei neuroni. A livello biochimico, i ricercatori hanno scoperto che nei giorni seguenti l’inizio degli esperimenti, le cellule hanno cominciato a produrre marcatori e molecole associate alla trasmissione degli impulsi nervosi tra i neuroni, il che suggerirebbe, secondo gli autori, l’inizio della formazione di sinapsi tra neuroni.
Nel breve termine, questo successo potrebbe avere un notevole impatto sulla ricerca nel campo delle neuroscienze. "Produrre neuroni a partire da cellule cutanee potrebbe risolvere il problema della disponibilità di cellule neuronali per la ricerca”, ha concluso Berthod.
Fonte: le scienze 23-02-07

domenica 25 febbraio 2007

I microRNA continuano a sorprendere...

Uno studio dei ricercatori del Wistar Institute ha mostrato come i microRNA possano subire una sorta di editing molecolare con significative conseguenze fisiologiche. Una singola sostituzione nella loro sequenza può riprogrammare questi microRNA verso insiemi di geni completamente diversi rispetto a quelli bersaglio della molecola non modificata. Inoltre, gli errori nell’editing possono portare a conseguenze nefaste per la salute.
Le piccole molecole chiamate microRNA, formate da un numero limitato di nucleotidi, da 19 a 21, sono in grado di silenziare ampi insiemi di geni. Essi svolgono questo compito legandosi in modo specifico all’RNA messaggero, che trasporta l’informazione genetica, neutralizzandolo. Finora, sono state identificate molte centinaia di migliaia di specie di microRNA, e continuano a venire raccolte indicazioni del ruolo cruciale rivestito da queste molecole nella regolazione del funzionamento del genoma.
"Ciò che abbiamo scoperto è che in alcuni casi sono sufficienti modiche di un solo nucleotide per ottenere effetti vistosi", ha spiegato Kazuko Nishikura, ricercatore della Wistar e coautore dell’articolo apparso sulla rivista Science. "Poiché questi microRNA modificati non sono codificato nel DNA, se ne deduce che due versioni diverse possono essere prodotte da uno stesso gene, ed è questa circostanza che finora non era nota.
"Guardando più da vicino - ha continuato Nishikura - abbiamo verificato che la sostituzione identificata avveniva in una particolare e cruciale regione della molecola, quella formata dai primi 7 o 8 nucelotidi, che determina il bersaglio della molecola. Ciò suggerisce che il cambiamento potrebbe indurre la molecola modificata a silenziare insiemi di geni completamente differenti rispetto alla versione non modificata."
Utilizzando strumenti bioinformatici per confrontare i dati relativi alle diverse versioni di una sola specie di microRNA con sequenze geniche note, gli scienziati hanno identificato due differenti gruppi di circa 80 geni, ciascuno dei quali poteva essere il bersaglio delle due versioni della molecola. In seguito hanno selezionato tre geni da ciascuno gruppo per un’analisi più approfondita e per verificare che la loro espressione fosse effettivamente alterata, così come in effetti è risultato.
Fonte: Le Scienze 23-02-07

sabato 24 febbraio 2007

MicroRNA anticancro

Per la prima volta è stata dimostrata l’azione protettiva di un microRNA nei confronti dei tumori. A riuscirci sono stati i ricercatori del Whitehead Institute e del Massachusetts Institute of Technology (Mit), che già in passato avevano messo in correlazione la sovra/sotto-espressione di certi microRNA con l’insorgenza di cancro. Il lavoro apparso su Science, tuttavia, va oltre questi primi studi, focalizzando l’attenzione sul gene HMGA2 che risulta difettoso in un ampio numero di forme tumorali.
I microRNA sono piccole molecole cellulari capaci di regolare l’espressione di un gene agendo sugli RNA messaggeri, molecole a esse analoghe, ma che copiano l’informazione contenuta nel Dna avviando il processo di sintesi delle proteine. I primi microRNA sono stati scoperti nel 1993 nel verme Caenorhabditis elegans e a oggi sono stati identificati microRNA sia in organismi vegetali che animali, essere umano compreso, sebbene la loro funzione e modalità d’azione sia ancora per molti versi oscura.
Christine Mayr del Whitehead Institute ha voluto approfondire il ruolo dei microRNA nei tumori in cui il gene Hmga2 risulta difettoso, ossia in forma tronca e parzialmente sostituita con DNA proveniente da un altro cromosoma. Finora si era pensato che la proteina codificata in forma incompleta fosse all’origine del tumore, ma analizzando la regione genica rimpiazzata si è notata la mancanza di una porzione non-codificante contenente sette siti di riconoscimento per il microRna let-7. La ricercatrice si è quindi chiesta se non fosse la mancanza di questi siti, e quindi di regolazione da parte di let-7, la causa della sovraespressione di HMGA2, che sfocia nella proliferazione tumorale.
Creando dei costrutti genici HMGA2 privi di elementi di riconoscimento per let-7 e inserendoli in linee cellulari murine ha visto che minore era il numero di siti presenti sul costrutto, maggiore era l’accumulo di proteina. Non solo, in coltura ha osservato che tali cellule erano in grado di originare un numero elevato di colonie, a differenza di quelle con gene normale o ridotto. Infine, iniettando queste cellule in topi immunodepressi è stato possibile vedere che quelle con ridotto numero di siti di riconoscimento davano origine a tumore, mettendo così definitivamente in luce un nuovo meccanismo di cancerogenesi.
Fonte: Galileo 23-02-07

venerdì 23 febbraio 2007

La chiave è nei fotoni

La crittografia quantistica è l'ultima frontiera della messa a punto di codici di crittazione per creare canali di comunicazione ad alta sicurezza. Ma, a quanto pare, non è infallibile. Alcuni ricercatori del gruppo Quantum Research di Toshiba Europe hanno infatti trovato un difetto del sistema, al quale hanno poi trovato il rimedio.
Nella crittografia che utilizza le leggi della meccanica quantistica, le chiavi di decodificazione sono trasmesse da singoli fotoni di luce. Questa tecnologia è oggi molto diffusa nelle comunicazioni finanziarie o governative di alta segretezza. La sua sicurezza si basa sul fatto che l’intercettazione dei dati provoca una variazione del numero di fotoni trasmessi, alterando il messaggio. I ricercatori della Toshiba Europe hanno tuttavia scoperto che il laser a diodi, che viene utilizzato per generare i fotoni, può erroneamente emettere due fotoni alla volta. Un eventuale intercettatore potrebbe in tal caso “catturare” il secondo fotone e riuscire a decodificare gradualmente i dati senza essere individuato.
Oltre alla falla, gli scienziati hanno ora trovato anche una soluzione: inserire casualmente dei singoli “fotoni esca” tra quelli del segnale. È cosi possibile determinare un’intrusione monitorando quanti “fotoni esca” arrivano a destinazione.
Questo metodo permette inoltre di trasmettere i dati in maniera molto più rapida. “Ora possiamo distribuire molte più chiavi segrete al secondo, e garantirne una totale sicurezza”, ha affermato Andrew Shields, capo del gruppo di ricerca.

mercoledì 21 febbraio 2007

La genetica dell'autismo

Il più grande consorzio di ricerca per la genetica dell’autismo, chiamato Autism Genome Project, ha individuato una nuova regione sul cromosoma 11 che probabilmente contiene geni coinvolti nell’autismo e un difetto nel gene che codifica per la neurexina 1.
È il risultato, pubblicato su Nature Genetics, della più estesa analisi genomica mai effettuata prima d’ora su pazienti autistici. Un'analisi che dal 2002 vede impegnati 120 scienziati di 19 paesi, provenienti da più di 50 istituti di ricerca, che hanno studiato il Dna di 1.200 famiglie con almeno due casi di autismo.
Del consorzio Agp fa parte anche un gruppo di ricercatori italiano guidato da Elena Maestrini del Dipartimento di biologia dell’Università di Bologna, che da più di otto anni conta sui finanziamenti di Telethon per la sua ricerca sulle cause genetiche dell’autismo. “I primi risultati di questo progetto collaborativo”, ha commentato Maestrini, “aprono la strada all’identificazione dei meccanismi implicati nella predisposizione all’autismo, con l’obiettivo a lungo termine di migliorarne la diagnosi e di offrire nuovi trattamenti per i pazienti e le loro famiglie”.
Il risultato è stato ottenuto con una tecnologia, chiamata “gene-chip”, che permette di individuare le caratteristiche genetiche che accomunano gli individui affetti da autismo. Tale tecnologia si basa sul confronto dei frammenti di Dna proveniente dai pazienti, dai loro familiari e da individui di controllo. Il risultato è l’identificazione sia di variazioni molto piccole nella sequenza genetica, a livello di singola base, sia di varianti di dimensioni maggiori, ma non tali da poter essere viste al microscopio (le cosiddette “Variazioni del numero di copie”). Il vasto campione famigliare analizzato ha permesso di localizzare le regioni cromosomiche che contengono geni coinvolti nell’autismo, in particolare una nuova regione sul cromosoma 11.
Si è chiusa così la prima fase del progetto. Nella seconda fase si analizzerà il Dna a un livello di dettaglio ancora superiore e si cercherà di correlare i difetti genetici trovati con le manifestazioni cliniche dei pazienti. L’identificazione di geni o regioni del Dna che se alterati possono causare la malattia è un traguardo difficile per un disturbo multifattoriale come l'autismo. Nonostante i passi avanti compiuti dalla ricerca, le disfunzioni neurologiche legate all'autismo sono ancora una sfida aperta.
Fonte: Galileo 19-02-07

martedì 20 febbraio 2007

Musica + Staminali = Virgin

Richard Branson, fondatore della Virgin, ha ora fondato la Virgin Health Bank, una banca di cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale.
Il gruppo Virgin è nato in Inghilterra nel 1972 come etichetta musicale ma nel corso del tempo Branson ha differenziato molto i suoi investimenti: finanza, treni, aerei, turismo, vini, cellulari, cosmetici, fino ad investire ora nel campo della genetica. La banca è semi-pubblica in quanto le cellule dei donatori vengono conservate per metà nelle banche pubbliche e messe a disposizione di riceventi compatibili e l'altra metà invece sono conservate in centri privati e quindi sono ad esclusiva disposizione del donatore.
La comunità scientifica però non approva questa novità. Sulla rivista The Lancet un editoriale prende una netta posizione sulla questione: la natura semi-pubblica della Virgin Health Bank va contro al principio alla base della creazione delle banche del cordone.
Negli ultimi anni, i trapianti di staminali provenienti da cordone ombelicale hanno affiancato quelli da midollo osseo nella terapia di alcune gravi patologie come le leucemie, alcune malattie metaboliche genetiche, le emoglobinopatie. Questo nuovo tipo di trapianti ha preso piede in quanto causano minori complicazioni post-intervento, vi è una disponibilità maggiore di cellule e una maggiore compatibilità. Le banche del cordone hanno consentito di avere a disposizione cellule staminali per i trapianti grazie a donazioni volontarie che non tolgono nulla a chi la fa ma che sono importanti per chi può averne necessità. Attualmente la maggior parte delle banche si trova all'interno di strutture ospedaliere ma esistono, in tutto il mondo, delle banche che permettono la conservazione del cordone per proprio uso. In una struttura privata il costo per conservare il proprio cordone si aggira intorno ai 1500 dollari. I motivi di diffidenza nei confronti delle banche private non sono solo di natura etica ma anche scientifica: conservare le staminali senza poterle usare per la ricerca è poco utile. Inoltre, attualmente, il tempo massimo di conservazioni non supera i dieci anni e nessuno può prevedere se queste cellule saranno utilizzabili anche dopo questo termine e in che modo.
La strategia della Virgin Health Bank è a metà tra una banca pubblica e una privata ma nonostante ciò non convince la comunità. Anche il Journal of the American Medical Association, pur non riferendosi esplicitamente alla Virgin Health Bank, ha ribadito l'importanza di diffondere la cultura della donazione del cordone ombelicale.
Fonte: Molecularlab 19-02-07

domenica 18 febbraio 2007

Rivedere la legge 40

Rispondendo ad una interrogazione dell'Udc in Commissione Affari Sociali il sottosegretario alla Salute Giampaolo Patta ha preannunciato che le linee guida della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita verranno aggiornate e riviste entro il 2 luglio 2007.
Il ministero in questo momento sta seguendo un percorso istituzionale insieme al Consiglio Superiore della Sanita' e all'Istituto Superiore della Sanita'. Nonostante la revisione delle linee guida sia un atto di sola competenza ministeriale e un atto amministrativo previsto dalla stessa legge ogni tre anni nella direzione della possibilita' dell'esistenza di nuove tecniche e percio' della necessita' di aggiornamenti della norma, il ministero ha annunciato che verranno comunque coinvolte le commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato.
Potrebbe essere la buona occasione per rimettere in discussione se non tutta la legge almeno i punti piu' insostenibili: l'accesso a queste tecniche a persone con malattie genetiche ed ereditarie e la diagnosi preimpianto, eliminare il divieto di eterologa, di crioconservazione degli embrioni e iniziare a pensare di eliminare i divieti per la scienza e la ricerca scientifica in una legge che parla di fecondazione!
Fonte: Aduc 16-02-07

sabato 17 febbraio 2007

Staminali: quando le madri istruiscono le figlie

Come disse Monod: “il sogno di una cellula è diventare due cellule”. E come fa una cellula staminale figlia a specializzarsi in un determinato tipo cellulare? Gli scienziati hanno sempre sostenuto che ciò dipenda dai segnali inviati dalle cellule del microambiente circostante, ma uno studio pubblicato ieri su Science dimostra che non è sempre cosi. Ricercatori del Carnegie Institution di Washington hanno scoperto che, al momento della loro divisione, le cellule staminali adulte dell’intestino di Drosophila (ISC) sono in grado di dirigere il destino delle proprie cellule figlie.
Il meccanismo di istruzione dalla cellula madre alla figlia si basa su un tipo di segnale noto ai biologi come via di Notch. Questa via, che innesca all’interno delle cellule figlie l’attivazione di specifici geni per regolare il differenziamento, viene attivata da una proteina di nome Delta che si trova sulla superficie della cellula madre. I ricercatori hanno osservato che se le cellule figlie ricevono un forte segnale Delta diventano enterociti, le cellule che assorbono i nutrienti sulla parete dell’intestino, mentre se ricevono un segnale Delta debole diventano cellule enteroendocrine, deputate alla secrezione del tratto gastrointestinale.
Oltre a questa funzione, Delta agisce come freno sulla divisione cellulare. L’inattivazione di Delta provoca infatti una continua proliferazione delle cellule figlie, con eventuali formazioni di tumore. Adesso, rimane da capire se la funzione regolativa delle ISC necessiti comunque di un microambiente circostante, come nel caso di altri tipi di cellule staminali,. Comprendere questi meccanismi potrebbe avere grosse implicazioni sullo studio di vari tumori dell’uomo, tra cui quello dell’intestino.

giovedì 15 febbraio 2007

Galassie fantasma

Le chiamano “galassie fantasma”. Sono le più scure dell'Universo, così fioche che sono state individuate solo quelle relativamente vicine alla Terra. Finora nessun modello scientifico era riuscito a spiegare l’origine delle nane sferoidali, conciliando l’eccezionale quantità di materia oscura che contengono e la loro tendenza a trovarsi in prossimità di galassie molto più grandi. Stelios Kazantzidis, ricercatore del Kipac (Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology) di Stanford, in collaborazione con studiosi di Zurigo, Monaco e del Canada, ha proposto un’efficace spiegazione, riportata questa settimana su Nature.
Attraverso la simulazione con supercomputer, gli studiosi hanno trovato che, in origine, la galassie dominata dalla materia oscura era un sistema normale. Quando però si avvicina a galassie di massa superiore, incontra tre fenomeni - "ram pressure", "tidal shocking" e “radiazione cosmica di fondo” – che le strappano via una parte di gas interni e di stelle luminose. Nel corso di miliardi di anni, ogni volta che la galassia satellite passa vicino a quella di massa superiore si verifica lo stesso meccanismo, finché quasi tutti i gas e le stelle sono portati via e dell’originaria galassia rimane solo un nucleo di materia oscura. Questo sarebbe accaduto anche alle piccole galassie luminose e ricche di gas cadute nella Via Lattea circa 10 miliardi di anni fa.
Il lavoro, oltre alle spiegazioni sull’origine delle anomale “galassie-ombra”, può aiutare a spiegare una vecchia discrepanza tra teoria e osservazioni. Il modello cosmologico dominante sostiene infatti che intorno alle galassie di massa rilevante (come la Via Lattea) si troverebbero molte più galassie (piccole) di quelle che sono osservate. Questa discordanza, definita come “il problema delle galassie scomparse”, potrebbe essere risolta considerando l’esistenza di satelliti dominati da materia oscura, troppo deboli per essere individuati.
Fonte: Galileo 14-02-07

martedì 13 febbraio 2007

Buon compleanno Mr Darwin!

Il 12 febbraio è il Darwin Day, il giorno dedicato a Charles Darwin. In Inghilterra si celebra da molti anni. Da noi invece solo dal 2004. Per la precisione da quando il governo Berlusconi tentò di abolire l´evoluzionismo dai libri di testo. La reazione sdegnata del mondo scientifico si sposò con un´idea che era già nell´aria e nacque la decisione di festeggiare il compleanno del naturalista che cambiò il nostro modo di vedere il mondo. Oggi l´Italia è al secondo posto, dopo l´Inghilterra, per numero di iniziative.
E per l'occasione (con 1 giorno di ritardo...) ho pensato di farvi leggere la recensione di Pietro Greco del libro "Creazione senza Dio" di Telmo Pievani, uscito recentemente per Einaudi. Pievani è docente di Filosofia della scienza all´Università di Milano Bicocca e uno degli animatori del Darwin Day. Il libro è un´analisi impietosa e ironica delle tesi dei sostenitori del cosiddetto Disegno Intelligente. La dottrina del Disegno Intelligente, o neocreazionismo, non nega la realtà dell´evoluzione, nega però che l´evoluzione proceda per mutazioni e selezione naturale come ci spiegò Darwin: la storia naturale sarebbe invece diretta da un disegno superiore. È ovvio pensare che il progettista sia Dio.
L'evoluzione non ha bisogno di Dio
di Pietro Greco
Ci sono almeno tre tesi di fondo in «Creazione senza Dio», il libro che Telmo Pievani ha da poco affidato ai tipi della Einaudi. La prima è che è in atto un attacco gratuito al darwinismo, ovvero all´unica teoria scientifica oggi in grado di spiegare i fatti dell´evoluzione biologica. La seconda tesi è che l´attacco a Darwin è la punta emergente di assalto più generale alla scienza stessa. La terza tesi di Telmo Pievani è che si tratta di attacchi molto pericolosi, da non sottovalutare.
Diciamo subito che la prima tesi è condivisa dalla totalità pressocché assoluta dei biologi e dei filosofi della biologia. La seconda è percepita solo da una parte della comunità scientifica. La terza è ancora presa sottogamba, persino all´interno della comunità scientifica. Ed è per questo che il nuovo libro del giovane filosofo della biologia in forze all´Università Bicocca di Milano è davvero prezioso.
Beninteso le argomentazioni che Pievani porta per sostenere la prima tesi sono molto lucide e ben documentate, da ogni punto di vista: biologico, storico e filosofico. Esistono i fatti dell´evoluzione. Tantissimi e convergenti. Che narrano come la vita sulla Terra vanti lunga data e come la sua lunga storia si sia srotolata all´insegna del continuo cambiamento.
L´unica teoria in grado di descrivere questi fatti è la teoria darwiniana. Che si fonda, sostanzialmente, su cinque constatazioni e tre deduzioni operate da Charles Darwin e rese di pubblico dominio nel libro «Origine delle Specie» pubblicato dal naturalista inglese nel 1859. La prima constatazione, matematica alla mano, è che tutte le specie viventi hanno una fertilità potenziale tale che se ogni individuo la potesse esprimere con successo la loro popolazione dovrebbe crescere in termini esponenziale. La seconda constatazione è che questo semplicemente non accade: le popolazioni di ciascuna specie, pur tra frequenti fluttuazioni, sono sostanzialmente stabili nel tempo. La terza constatazione è che le risorse naturali a disposizione degli organismi viventi sono limitate. In un ambiente stabile le risorse restano stabili.
È chiaro allora ? ecco la prima deduzione di Darwin ? che c´è una lotta tra gli organismi per accaparrarsi le risorse. Solo alcuni in questa lotta per la sopravvivenza risultano vincitori e possono riprodursi con successo. Un´altra constatazione, la quarta, è che nelle popolazioni di ciascuna specie non ci sono due individui uguali. Persino due fratelli, persino due gemelli sono un po´ diversi tra loro. Non c´è dubbio: il mondo del vivente è caratterizzato da una enorme variabilità.
Ultima constatazione: gran parte della variabilità biologica è ereditaria. I caratteri si trasmettono di genitore in figlio, anche se con modificazioni.
Il che significa, seconda deduzione di Darwin, che il successo nella competizione per le risorse che si traduce poi in successo riproduttivo non è casuale: ma dipende almeno in parte dalla costituzione ereditaria degli individui che sopravvivono. Le condizioni ineguali di partenza nella competizione per le risorse costituiscono la base del processo naturale di selezione.
Nel lungo periodo ? terza e ultima deduzione di Darwin ? il processo di selezione naturale conduce a una graduale e continuo cambiamento delle popolazioni. Di generazione in generazione la selezione naturale determina l´evoluzione delle vecchie specie e la nascita di nuove specie.
Questo meccanismo che favorisce il successo riproduttivo degli organismi più adatti a un certo ambiente e che determina, nel tempo, l´evoluzione delle specie è piuttosto semplice, non è affatto casuale, ma non ha alcun fine. Non premia a caso, ma non indirizza l´evoluzione verso nessuna meta. Tanto meno verso una meta predefinita. È necessario, sia pure su base statistica, ma, direbbero i filosofi, non è teleologico.
L´aspetto interessante è che Darwin avanzò questa spiegazione senza conoscere né i processi che consentono l´ereditarietà dei caratteri genetici, né la fonte delle piccole modificazioni che consentono ai figli di essere almeno un po´ diversi dai genitori (e diversi tra di loro).
Nel corso di questi centocinquant´anni lo sviluppo della genetica ha consentito di chiarire sia gli uni che gli altri, fornendo una formidabile corroborazione alla spiegazione darwiniana. In particolare oggi sappiamo che la variabilità tra gli individui ha origine nelle mutazioni casuali del Dna. Ecco perché un quarto di secolo fa il francese Jacques Monod con efficace sintesi ha potuto dire che l´evoluzione del mondo biologico è determinata dal caso e dalla necessità.
Prima di Darwin, dopo Darwin e ancora oggi molti si chiedono: ma è mai possibile che l´enorme complessità del vivente che vediamo intorno a noi? L´ala di un uccello efficace per volare, l´occhio di un gatto efficace per vedere e addirittura il cervello di un uomo straordinario per pensare ? sono il frutto di questo meccanismo cieco? Non è possibile: l´ordine intelligente che vediamo intorno a noi deve essere il frutto di un disegno altrettanto intelligente.
Molti questo disegno intelligente lo hanno cercato in leggi naturali da scoprire o in leggi sovrannaturali: in Dio, appunto.
Telmo Pievani ha facile gioco nel dimostrare non solo che questa ricerca non è necessaria ? perché l´evoluzione biologica per selezione naturale, insieme ad altri meccanismi che non contraddicono l´impostazione darwiniana, spiega in maniera esauriente i fatti noti ? ma è stata del tutto infruttuosa. Non c´è alcun fatto noto che contraddica la teoria darwiniana. Non c´è alcun fatto noto che corrobori l´idea di una nuova legge naturale o addirittura soprannaturale per spiegare la complessità che vediamo nel vivente in alternativa alla teoria darwiniana.
L´attacco a Darwin esiste, ma da un punto di vista scientifico è un attacco del tutto spuntato. E proporre l´intelligent design per spiegare l´evoluzione biologica è un po´ come sostenere che la Terra non gira intorno al Sole, ma a una teiera cinese. Non ha alcun fondamento nei fatti noti, non c´è necessità alcuna di proporla ed è del tutto implausibile. Questa è la prima tesi di Pievani, che appartiene, come dicevamo, alla quasi totalità degli scienziati e dei metascienziati (storici e filosofi della scienza) che studiano l´evoluzione biologica.
Molti, invece, continuano a sottovalutare la seconda tesi del giovane filosofo della biologia. Che, cioè, l´attacco a Darwin sia l´avanguardia di un attacco più generale alla scienza, come cultura critica che non ha bisogno di tutele imposte dall´alto. C´è chi propone visioni assolute del mondo e mal sopporta una cultura naturalistica, fondata sullo scetticismo sistematico.
Molti, anche tra gli scienziati, non mostrano di vedere questo più vasto movimento antiscientifico che si estende in molti paesi del mondo, in molte aree culturali e in molte ambienti religiosi. Eppure, come sostiene Pievani, esso è reale. Ne abbiamo avuto prova negli Stati Uniti, dove è diventato il collante culturale della variegata maggioranza della popolazione che ha mandato George W. Bush per la seconda volta alla casa Bianca. Ma ne abbiamo avuto prova anche da noi, in Europa. Il contenuto vero del discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona non era affatto l´attacco all´Islam, ma il tentativo di negare alla scienza la sua autonomia inglobandola in una razionalità più vasta.
L´ultima tesi del giovane filosofo è che questo tipo di attacco più vasto e generale all´intera cultura scientifica non è affatto da sottovalutare. Ma è piuttosto pericoloso. In gioco c´è la nostra stessa libertà di decidere, sulla base di una razionalità critica, intorno a questioni fondamentali. Fondamentali come la vita e la morte.
Pubblicato su L’Unità il 9-1-07

sabato 10 febbraio 2007

Cervelli rientrati e abbandonati

Sono centinaia i ricercatori che, tornati in Italia con l’aspettativa di trovare un posto fisso ed un inizio di carriera, si ritrovano oggi senza un lavoro.
Il programma del rientro dei cervelli non funziona, lo denuncia persino Nature con un articolo pubblicato on-line il 7 febbraio.
Alison Abbott, senior reporter della sede di Monaco di Nature news, analizza la situazione italiana e cerca di far emergere i punti deboli del “sistema stagnante della ricerca in Italia”. Uno degli aspetti salienti è la competizione che si crea tra chi torna e chi è rimasto in Italia (spesso solo scaldando una semplice sedia) in attesa di avere il suo posto…
Ma la cosa migliore è che leggiate voi stessi l’articolo http://www.nature.com/news/2007/070205/full/070205-10.html

giovedì 8 febbraio 2007

Nuove regole per le staminali

No alla clonazione riproduttiva umana. Al bando gli esperimenti privi di un convincente razionale scientifico o che sollevano forti perplessità etiche. Semaforo arancione alla creazione di chimere animali, ammessa solo previa autorizzazione. E la necessità di un organo supervisore, che affianchi il tradizionale processo di peer-review.
Sono alcuni dei principi sanciti dalle nuove linee guida della International Society for Stem Cell Research (Isscr), presentate questa settimana alla comunità scientifica attraverso le pagine di Science. Un decalogo che traccia il solco al di là del quale la ricerca sulle cellule staminali embrionali umane non può andare, il confine etico di un campo minato in cui si giocherà il futuro della medicina rigenerativa.
Le linee guida sono state definite da una task force di scienziati - tra i quali figura anche Ian Wilmut dell'Università di Edinburgo che nel 1997 creò Dolly, la prima pecora clonata - bioeticisti ed esperti legali di 14 paesi diversi. Così la scienza detta a se stessa le regole da seguire, in Giappone come negli Stati Uniti, in Europa come in Cina, per la derivazione e l'utilizzo delle linee staminali pluripotenti provenienti da embrioni umani. Con l'obiettivo di superare barriere di tipo culturale, politico, religioso e sociale, incoraggiare la collaborazione internazionale e non perdere la fiducia pubblica. Il punto di partenza è che il processo di peer-review tradizionale non basta. Quando si maneggiano staminali embrionali serve un organo supervisore specializzato, in grado di giudicare non solo i meriti scientifici di uno studio, ma anche l'osservanza del codice etico. Si eviteranno così episodi come quello che ha investito poco più di un anno fa la banca mondiale di cellule staminali su misura, la World Stem Cell Hub, aperta a Seul il 19 ottobre 2005, finita inizialmente al centro delle polemiche perché alcuni ovociti erano stati prelevati alle ricercatrici del centro. E in seguito completamente screditata a causa della clamorosa frode intentata dal ricercatore Woo Suk Hwang.
Ma in tutto il mondo la grande promessa è questa, ed già tecnicamente possibile: la clonazione terapeutica. Con il trasferimento nucleare (in cui il nucleo di una cellula somatica viene inserito in un ovocita precedentemente enucleato, e poi forzato verso la divisione embrionale) è possibile ottenere linee di staminali specifiche per ogni individuo. Significa avere a disposizione una fabbrica di staminali con lo stesso materiale genetico del donatore per curare malattie come diabete, Parkinson, sclerosi multipla, tumori, o eseguire trapianti senza rischio di rigetto. “Non c'è scienziato che pensi di utilizzare il metodo per la clonazione umana”, dice William Lensch, ricercatore al Children's Hospital di Boston. Ma a scanso di equivoci, le linee guida lo ribadiscono: la clonazione riproduttiva è vietata. È un principio già fuori discussione, dettato dieci anni fa dalla Dichiarazione universale sul genoma umano e sui diritti dell'uomo delle Nazioni Unite. È inoltre proibito coltivare in vitro gli embrioni umani per più di 14 giorni. Neppure è lecito l'incrocio di animali per ospitare gameti umani. Ed è obbligatorio richiedere il consenso esplicito del donatore per usare cellule e tessuti a fini scientifici.
Il punto più delicato, su cui la task forse non ha raggiunto una posizione ufficiale univoca, non riguarda la ricerca in sé, bensì il compenso economico per le donne che donano gli ovuli. Negli Stati Uniti in cambio di un ovocita si possono ricevere dai 2.500 ai 5.000 dollari. Una facile fonte di guadagno che potrebbe minare la natura volontaristica della donazione e spingere alcune donne, specie in difficoltà economica, a sottoporsi con leggerezza ai rischi della stimolazione ormonale e del prelievo chirurgico delle uova. Ma secondo altri sarebbe altrettanto scorretto chiedere a una donna di subire queste procedure senza percepire un soldo.
Le linee guida, valide all'interno della comunità scientifica, sono ovviamente soggette alla legislazione e alla regolamentazione delle singole nazioni. In Italia, per esempio, la manipolazione dell'embrione umano è vietata dalla legge 40, che impedisce anche la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali. In realtà, chi vuole fare ricerca nel nostro paese sulle staminali embrionali non può generare nuove linee cellulari, ma può acquistarle all’estero. Se lo fa, non ha però accesso ai finanziamenti della commissione ministeriale sulle staminali. Tuttavia, come recentemente ribadito dal ministro della ricerca Fabio Mussi, potrà beneficiare dei finanziamenti europei stanziati dal Settimo programma quadro, a cui attingeranno anche Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Svezia, Svizzera, Olanda e Grecia.

lunedì 5 febbraio 2007

Cellule staminali amniotiche: è tutto oro ciò che luccica?

Scoperta una nuova fonte di cellule staminali: diverse dalle staminali embrionali e da quelle adulte, pluripotenti e in grado di generare un buon numero di tipi cellulari differenziati dell’organismo. Una notizia che ha fatto velocemente il giro del mondo, e che è stata annunciata il 7 gennaio con la pubblicazione on-line, su Nature Biotechnology, di uno studio eseguito da ricercatori della Wake Forest University School of Medicine e della Harvard Medical School.
Le cellule staminali in questione, chiamate AFS (Amniotic Fluid-derived Stem), sono derivate dal fluido amniotico e si candidano ad essere la tanto attesa alternativa alle cellule staminali embrionali. Si, perché le AFS mostrano un’alta plasticità con molte caratteristiche simile alle staminali embrionali, e sono svincolate da qualsiasi problematica di carattere etico. Ma, anche su questa terza via la comunità scientifica sembra essersi divisa: c’è chi ha accolto la novità con molto scetticismo, chi pensa che sia invece una vera svolta nel campo delle staminali, e chi, semplicemente, che sia troppo presto per pronunciarsi.
Lo studio, durato sette anni, è iniziato prelevando liquido amniotico da donne incinte. “Che nella placenta e nel liquido amniotico fossero presenti cellule progenitrici dell’embrione in via di sviluppo era noto da anni” - ha spiegato Anthony Atala, che ha guidato il team di ricerca – “Ma non era chiaro se esistessero delle vere cellule staminali, e noi abbiamo trovato che la risposta è si”. I ricercatori hanno scoperto che circa l’1 per cento di queste cellule è di tipo staminale, in grado di dar luogo a diversi tessuti. Gli autori del lavoro ritengono che le AFS possano costituire uno stadio intermedio tra le cellule staminali embrionali e quelle adulte, possedendo marcatori caratteristici di entrambi questi tipi. Le nuove cellule staminali sembrano avere grandi potenzialità per il campo della medicina rigenerativa: sono molto versatili con il vantaggio di essere facilmente isolabili e manipolabili. Le AFS si ottengono da campioni di liquido amniotico prelevati con l’amniocentesi, un test prenatale eseguito di routine e accettato dalla comunità medica per i minimi rischi per il feto, oppure, dopo il parto, dalla placenta. Una volta isolate, le AFS crescono velocemente, in coltura raddoppiano ogni 36 ore. Sono, inoltre, in grado di moltiplicarsi a lungo termine senza andare incontro a nessun tipo di differenziamento e, soprattutto, senza sviluppare tumori, problema che s’incontra invece con l’uso delle cellule staminali embrionali. Negli ultimi anni, gli scienziati sono riusciti a far differenziare le AFS in cellule muscolari, ossee, sanguigne, adipose, nervose ed epatiche. Sono stati anche condotti i primi esperimenti di rigenerazione di tessuti su cavie, e questi hanno dato degli ottimi risultati. Ad esempio, cellule AFS umane messe in coltura e fatte differenziare in cellule nervose sono state inserite nel cervello di topi affetti da malattie neurodegenerative. I ricercatori hanno osservato che le cellule nervose, oltre a ripopolare l’area cerebrale danneggiata, sono anche in grado di produrre neurotrasmettitori in modo da ottenere un parziale ripristino delle funzionalità. Allo stesso modo, è stato dimostrato che le cellule ossee derivanti da AFS sono in grado di rigenerare il tessuto osseo, e che quelle epatiche riescono a secernere urea. Inoltre, ad una conferenza stampa, Anthony Atala ha dichiarato di avere dati non pubblicati che dimostrano che le AFS sono anche capaci di formare le cellule del sangue.
Nel frattempo, lo scienziato ha richiesto il brevetto per le AFS e per il metodo d’isolamento. Secondo molti ricercatori queste nuove cellule potrebbero diventare la principale fonte di staminali per uso clinico. Solo negli Stati Uniti avvengono quattro milioni di parti l’anno e ciò basterebbe per creare una banca di cellule fetali che soddisfi la necessità di trapianto dell’intera popolazione americana.
Ma, se parte della comunità scientifica è entusiasta della scoperta, descrivendola come “la buona notizia di inizio 2007”, la restante parte è invece assolutamente scettica e contrariata dal tanto clamore suscitato. Molti ricercatori sostengono che il team di Atala non abbia affatto scoperto una nuova popolazione di cellule staminali, ma che abbia solo caratterizzato meglio cellule già studiate da altri gruppi. “Ho la netta sensazione che stiamo semplicemente dando nomi diversi alla stessa cellula”, ha dichiarato Dario Fauza, chirurgo pediatrico al Children’s Hospital di Harvard, e pioniere nel campo delle colture di cellule derivate da liquido amniotico. Dello stesso parere è Ming-Son Tsai, ricercatore del Cathay General Hospital di Taiwan, e autore di un lavoro pubblicato l’anno scorso su Biology of Reproduction, che descrive la coltivazione di cellule mesenchimali staminali derivate da cellule del liquido amniotico.
Certo che, visto il numero sempre crescente di studi pubblicati nel campo delle cellule staminali, di “notizie bomba” su nuove cellule che risolveranno tutti i nostri problemi e di lavori acclamati e poi ritrattati, forse l’atteggiamento migliore è quello che gli americani chiamano “wait-and-see attitude”, ovvero aspettiamo vigili e vediamo che succede.

sabato 3 febbraio 2007

Il cielo in una tasca

Basta puntarlo sul cielo stellato e schiacciare un pulsante: lui penserà a fornire tutte le informazioni del caso.
Si chiama Skyscout e sembra un incrocio tra un binocolo e una macchina fotografica. Ma è molto di più: negli Usa lo hanno definito il “planetario da tasca”. Grazie alla combinazione tra un sistema Gps e un database astronomico archiviato nei suoi microchip, quando lo si punta sul cielo è in grado di dare informazioni dettagliate su gran parte dei corpi celesti visibili a occhio nudo: nome, grandezza, distanza, posizione. Il mirino serve soltanto a scegliere la stella e il resto del lavoro lo fa il microcomputer. Per questioni di sicurezza, e di ovvietà, non funziona con il Sole. Ma non finisce qui, l’opzione “Tonight’s Must-See List” fornisce anche una lista dei 10 eventi cosmici importanti della giornata e ci guida istantaneamente alla loro identificazione nella volta celeste.
Il tutto è collegabile al personal computer via USB, per aggiornare il database interno e godere, così, di tutte le novità che il cosmo ha da offrire.
Negli States è andato a ruba in pochi giorni e per l’acquisto via Internet c’è già una lunga coda.
Fonte: La stampa - TuttoScienze 29-01-07

venerdì 2 febbraio 2007

Quando gli UV "bruciano" il DNA

Si sa che una prolungata esposizione al sole senza protezione fa male, che i raggi ultravioletti (UV) danneggiano il nostro Dna provocando tumori della pelle, ma come avvengono questi danni? Ce lo rivela uno studio, nato dalla collaborazione tra l’Università dell’Ohio e l’Università di Monaco, pubblicato oggi su Science. Utilizzando la tecnica dell’assorbimento transiente, per la prima volta è stato possibile “fotografare” l’evento di danno al Dna e misurarne la velocità.
I ricercatori hanno scoperto che l’entità del danno dipende dalla conformazione assunta dal Dna nel momento in cui viene colpito da UV, e che la reazione avviene alla sorprendente velocità di un picosecondo, il milionesimo di un milionesimo di secondo. La luce UV eccita una molecola di Dna fornendole energia. Solitamente questa energia decade senza conseguenze, ma può capitare che inneschi una reazione chimica che altera la struttura del Dna. In questo caso si ha la formazione di legami tra due timine che si trovano ravvicinate al momento della reazione. All’interno di una cellula, le molecole di Dna sono in continuo movimento, ruotano e si piegano. E’ sulla base di questa flessibilità che gli UV possono colpire timine favorevolmente allineate.
L’accumulo di danni al Dna può causare effetti più o meno gravi nel nostro organismo. Si può avere un semplice evento di morte cellulare, da cui deriva la spiacevole sensazione della scottature da sole o, peggio, l’insorgenza di mutazioni del Dna che sfociano in tumori della pelle. “Questi risultati forniscono nuovi elementi che permetteranno di affrontare l’argomento sotto una nuova luce, puntando l’attenzione sulle conformazioni tridimensionali del Dna”, ha affermato Bern Kohler, professore all’Università dell’Ohio e autore dello studio.

giovedì 1 febbraio 2007

110 anni di Aspirina

Iniziò come amore filiale per poi diventare un business mondiale. Un anziano malato di artrite e suo figlio esperto di chimica sono i pionieri di questa storia che dura ormai da 110 anni. L'aspirina, brevettata nel 1897 dal chimico Felix Hoffmann e testata inizialmente su un papà assillato dai dolori articolari, è un marchio di fabbrica diventato nome comune.
Questa è la versione ufficiale dell’invenzione dell’aspirina. Ma c’è chi sostiene che sarebbe stato l'alsaziano Charles-Frederic Gerhardt e non Felix Hoffmann ad aver individuato le proprietà della sostanza. L'inventore della medicina più popolare dell'era moderna era quindi un francese. Secondo gli studiosi, il chimico tedesco Felix Hoffmann si sarebbe ispirato ai risultati ottenuti da Gerhardt, che nel 1853 inventò la molecola. “Fu lui il primo a fare la sintesi sotto la sua forma stabile dell'acido acetilsalicilico” afferma il presidente del dipartimento di storia alla facoltà di medicina di Strasburgo, Jean Marie Vetter. Ma per mancanza di appoggi finanziari fu costretto ad abbandonare i suoi lavori, e la scoperta finì nel dimenticatoio assieme a lui, stroncato nel 1856, a 40 anni, da una peritonite.
È il salice la pianta madre di questo farmaco. Hoffmann prese spunto dai risultati del collega francese, migliorò la sintesi, e scoprì le proprietà terapeutiche, creando una versione meno costosa e più facilmente riproducibile su scala industriale. Hoffmann bollì per tre ore, insieme all'acido salicilico, dell'anidride acetica per alleviare il sapore amaro e i disturbi gastrointestinali di cui suo padre si lamentava dopo aver ingerito l'estratto puro della corteccia dell'albero. E forse non è per coincidenza che il salice, adatto ai climi umidi e alle paludi dove malaria, febbri e reumatismi si fanno sentire più acutamente, abbia offerto anche un rimedio a questi disturbi: come intuì Paracelso, nei medesimi luoghi in cui fa sorgere una malattia, la natura offre anche il suo medicamento.
Si vanta di essere l'analgesico più venduto nella storia, primo esempio di cura medica a disposizione delle masse. Fu il rimedio di frontiera per tentare di frenare l'epidemia di Spagnola dopo la Prima guerra mondiale e nel 1950 entrò nel Guinness dei primati come antidolorifico più diffuso del mondo. Accompagnò gli astronauti dell'Apollo sulla Luna, lenì i mal di testa di Don Camillo e dei personaggi di Cent'anni di solitudine. Fece guadagnare il Nobel a Sir John Vane e fu sperimentato in tali e tante condizioni da diventare oggetto di 3mila pubblicazioni scientifiche.
L’aspirina fu anche protagonista durante la prima guerra mondiale di una singolare battaglia politico-economica tra la Bayer e la Societé chimique des usines du Rhone, che commercializzava dal 1904 la sua aspirina con il nome di Rhodine. L'aspirina si ritrovò al centro delle campagne antitedesche, le Usines du Rhone fecero appello al patriottismo per aumentare le vendite del loro prodotto ''puro da qualsiasi miscuglio tedesco''. Con il trattato di Versailles certi brevetti tedeschi furono espropriati e l'aspirina fece parte dei danni di guerra, il nome divenne un nome comune e l'aspirina perse la maiuscola, ormai prodotta in tutto il mondo.
Non è un caso che José Ortega Y Gasset abbia soprannominato il ventesimo secolo come "il secolo dell'aspirina".
Nata come analgesico, antipiretico e antinfiammatorio, l'aspirina venne affiancata da decine di farmaci analoghi e concorrenti negli anni '50. Ma due decenni più tardi ritrovò una seconda giovinezza, quando i primi studi scientifici suggerirono i suoi benefici per il sistema cardiovascolare. L'acido acetilsalicilico frena la coagulazione del sangue, e può aiutare a prevenire infarti del miocardio in alcune categorie a rischio. Viceversa è controindicato alle persone molto anziane, affette da ulcera o che hanno problemi di emorragia, proprio perché tende ad aumentare il sanguinamento.
Come trent'anni fa dei benefici dell'acido acetilsalicilico si iniziava appena a parlare, oggi la cura dei tumori è la nuova sfida del gioiello della Bayer. "Ci sono degli studi importanti che associano il consumo regolare di aspirina a una ridotta incidenza dei tumori del colon o del retto" spiega Carlo Patrono, farmacologo romano e professore all'università Cattolica. "Sul meccanismo di azione del farmaco nei confronti del cancro c'è ancora molto da chiarire, ma ci si sta lavorando con dei trial clinici importanti".
Nel frattempo l'aspirina balza giù dagli scaffali delle farmacie per finire in quelli delle librerie. Alla storia della compressa e della società di cui ha cercato di lenire dolori, bollori e reumatismi, Jeffreys Diarmuid ha dedicato un libro uscito in Italia per Donzelli: Aspirina, l'incredibile storia della pillola più famosa del mondo.
Fonte: La repubblica 1-01-07 e Newton 19-11-03