martedì 31 luglio 2007

L'e-mail: che invenzione!

Sono 48,2 miliardi le e-mail che circolano nel mondo ogni giorno (12,9 miliardi solo negli Stati Uniti), 49 i minuti spesi al giorno dai lavoratori dipendenti per gestire la propria posta elettronica, e 62% quelli che controllano la posta di lavoro anche la sera ed in vacanza.
Queste sono solo alcune delle cifre legate ad una delle più sensazionali invenzioni del secolo scorso: la posta elettronica, che ci accompagna quotidianamente ed a volte ossessionatamene.
Ma chi ha ideato l’e-mail?
Il primo invio risale al 1964 al Mit di Boston utilizzando un Ibm 7094. La progettazione dell’e-mail è nata per poter scambiare dati e messaggi tra diversi utenti dello stesso megacomputer, è un nuovo modo di comunicare tra chi ha turni di lavoro di giorno e chi di notte.
Ma bisognerà aspettare il 1971 per veder nascere la moderna e-mail. In quel anno Ray Tomlinson, un tecnico di Arpanet (il network di computer da cui nascerà internet e che stava sperimentando l’invio di messaggi tra nodi diversi della rete), crea il simbolo @ per separare il nome dell’utente dall’indirizzo.
Nel 1995 arriva l’e-mail gratuita, fondata da Sabeer Bhatia e Jack Smith come WebMail, divenuta poi la nota Hotmail. Dal 4 luglio 1996, giorno dell’Indipendenza americana e data simbolica di inizio del servizio, al dicembre 1997 raccoglie 8,5 milioni di utenti. All’inizio del 1999 sono diventati 30 milioni. Dopo Hotmail il primo a innovare il settore sarà Google con Gmail il 1 aprile 2004.
Infine, nel 1999 inizia l’era del BlackBerry (quello che noi italiani chiamiamo il palmare). La posta arriva direttamente nelle tasche degli utenti ed è sempre a portata di mano. E’ un’azienda canadese specializzata in “cercapersone”, la Research in Motion fondata nel 1984 da Mike Lazardis, a lanciare la prima soluzione più completa. In pochi anni il BlackBerry diventa popolare tra i manager, con 9 milioni di iscritti al mondo. Una cifra che cresce al ritmo di più di 1,2 milioni di utenti al semestre.
Da poco, dopo mesi di misteri, è stato lanciato sul mercato l’Iphone. Un misto di tecnologia che va dal cellulare al computer al lettore di mp3, per non dimenticare l’aspetto del design.
E nel futuro che ci aspetta?

lunedì 30 luglio 2007

2 geni per la sclerosi multipla

Il risultato arriva contemporaneamente da tre studi: due mutazioni genetiche sono alla base di un maggior rischio di sviluppare la sclerosi mulltipla, la malattia autoimmune per cui la mielina prodotta dall'organismo a protezione dei neuroni viene riconosciuta come estranea e per questo attaccata dalle cellule immunitarie.
Si tratta di variazioni del gene IL7R, il recettore alfa per l'interleuchina 7, e il gene IL2R, il recettore alfa per l'interleuchina 2.
Che alla base della sclerosi multipla ci sia una componente genetica è ormai un dato acquisito, ma finora i geni coinvolti erano stati individuati solo sul cromosoma 6. Ora due studi pubblicati su Nature Genetics e uno su New England Journal of Medicine puntano l'obiettivo sul cromosoma 5. Qui si trova il gene IL7R, in cui la mutazione di una singola base è associata a un aumento del 30 per cento della probabilità di sviluppare sclerosi multipla. “La nostra scoperta è importante poiché le variazioni conosciute finora spiegano solo meno della metà delle componenti genetiche della malattia”, ha spiegato Simon Gregory, genetista molecolare al Duke’s Center for Human Genetics e autore degli studi.
Una percentuale interessante dal punto di vista genetico ma troppo bassa per pensare di condurre uno screening di popolazione alla ricerca di questa variante come fattore di rischio, come ha sottolineato Margaret Pericak-Vance, genetista all'Università di Miami in Florida, autrice dello studio pubblicato su Nejm che illustra come un'altra mutazione, quella del gene IL2R sia anch'essa coinvolta nello sviluppo della malattia.
L'interleuchina-2 e la 7 sono proteine del sistema immunitario importanti nella regolazione delle cellule T, quelle che si occupano di neutralizzare gli elementi considerati estranei dall'organismo per preservarne l'integrità. Cellule che, nel caso della sclerosi multipla, sono come impazzite perché aggrediscono la mielina che riveste i neuroni, causando così una loro degenerazione.
La scoperta delle due mutazioni, sebbene non comporti un diretto vantaggio nella diagnosi della malattia, fornisce nuovi elementi sullo sviluppo della sclerosi multipla e suggerisce vie per lo sviluppo di strategie terapeutiche. “Si tratta di un piccolo passo concettualmente molto importante perchè fornisce indicazioni sui processi alla base della malattia”, ha concluso George Ebers, nurologo della Oxford University, uno degli autori dello studio.
Fonte: Galileo 30-07-07

sabato 28 luglio 2007

I numeri della ricerca

No, non sto dando i numeri. Non ancora, almeno.
12.337 sono gli euro lordi del salario d’ingresso di un ricercatore in Italia, vale a dire di un giovane con 0-4 anni di esperienza che usufruisce di una borsa di dottorato o post-doc. Poi, spesso, i quattro anni diventano pure sette o otto, con borse o contratti che affogano nel precariato più cupo.
E adesso diamo i numeri degli altri: un “neo-ricercatore” guadagna (sempre al lordo) 51.399 euro in Norvegia, 42.528 in Danimarca, 39.599 in Svizzera. Ma anche se abbandoniamo questi paradisi e ci confrontiamo con paesi più vicini a noi sono sempre: Austria, 35.836 euro; Francia 28.191; Gran Bretagna, 24.607; Germania 24.515. Ci supera anche la Spagna (dove però il potere d’acquisto degli stipendi è un tantino più alto…), con 13.988 euro all’anno. E ce la battiamo con Grecia (12.112), Lituania (10.478) e Repubblica Ceca (9.881).
Se penso a quanto guadagnano certi arrogantelli che frequentano il rutilante mondo della tv o della moda mi incazzo davvero. E non serve che mi si dica che è la legge della domanda e dell’offerta. Non basta.
di Marco Cattaneo - Le Scienze 20-07-07

venerdì 27 luglio 2007

L'alluce egizio

L'alluce del piede destro di una donna di mezza età, fatto di pelle e legno, risalente al 1000 a.c., potrebbe aggiudicarsi il titolo di protesi più antica del mondo. Il primato spetterebbe agli egiziani dato che il finto dito è quello di una mummia oggi visibile al Museo Egizio del Cairo. Resta da capire, spiega Jacky Finch del Centro di Egittologia Biomedica dell'Università di Manchester, se veramente si tratta di protesi, oppure di un dito attaccato durante il processo di mummificazione per estetica e ritualità senza una funzione vera in vita.
Oggi la protesi considerata più antica è quella di una gamba risalente al 300 AC, ritrovata in una tomba sannita presso Capua, purtroppo andata distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Costruita in legno, rinforzato con bronzo, cuoio e ferro, è sorprendente come la forma della protesi fosse molto simile a quella di un ginocchio moderno. Ma ora alla sfortunata gamba di Capua potrebbe essere scippato anche il titolo di protesi più antica. Da parte, appunto, del dito della mummia egizia.

Ci sono buone probabilità che il “ditone” della mummia servisse in realtà in vita alla donna. Come spiega Finch: “non solo il dito finto appare usurato, ma anche ben articolato al piede della mummia”. Inoltre il sito di amputazione sul piede risulta ben guarito.

Anche se i suoi esperimenti hanno in parte intenti di ricostruzione storica, le ricadute saranno tutte pratiche. Dopo approfonditi studi, potrebbe risultare utile creare, con materiali moderni, protesi simili per impiantarle in persone con dita mancanti.

Fonte: Ansa 27-07-07

mercoledì 25 luglio 2007

... ed in Messico corrono ai ripari

In Italia ci si chiede come mai i giovani non investono negli studi scientifici ed intanto in Messico già corrono ai ripari. Dal prossimo anno scolastico più di un milione di bambini messicani studieranno materie scientifiche già dalle elementari. Lo ha annunciato qualche settimana fa la segretaria dell’educazione pubblica del Messico, Josefina Vazquez. “Nozioni di scienze e tecnologia devono essere insegnate sin dai primi anni del percorso scolastico” - ha sottolineato Josefina Vazquez durante l’evento commemorativo dei 15 anni dalla creazione del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica - “è un punto fondamentale per permettere al Messico di competere a livello internazionali con paesi come la Cina, l’India o il Brasile”. Il Ministero dell’educazione pubblica ha anche costituito un fondo per il programma “Pauta” (Programa Adopte un Talento), finalizzato ad individuare giovani talenti e sostenerli nei loro studi futuri. Fonte: SciDev.Net

I giovani e la scienza

Imparano con disinvoltura a utilizzare l’ultimo modello di telefono cellulare o i programmi di download di files musicali; partecipano in massa ai festival della scienza e sono assidui telespettatori dei programmi di divulgazione; eppure quando si tratta di scegliere di studiare una disciplina scientifica all’università, si tirano indietro.
L’atteggiamento dei giovani italiani verso la scienza appare improntato a un’ambivalenza quasi schizofrenica. Che si riflette in un’emorragia di iscritti ai corsi di laurea ad orientamento scientifico: uno studente universitario su due studiava per una laurea scientifica nell’anno accademico 1951/52; nel 2000/2001 lo faceva meno di uno su tre. Sono la Chimica, la Fisica e la Matematica ad evidenziare il maggiore declino, mentre non ci sono mai state crisi nell’ambito delle scienze della vita grazie alla spinta di settori quali le biotecnologie. Il problema, va detto subito, non è esclusivamente italiano, ma coinvolge buona parte dell’Unione Europea – compresi quei Paesi, come la Svezia o la Finlandia, abitualmente indicati a modello sul piano degli investimenti e della promozione della ricerca. Qualunque iniziativa che miri ad attenuare, quando non ad invertire, questa tendenza, deve interrogarsi su quali siano le ragioni di un tale declino di interesse dei giovani per gli studi scientifici. Esiste un problema di percezione di ciò che studiare scienza rappresenta agli occhi dei giovani, ed è per questa ragione che i dati raccolti da Observa-Science in Society su un campione di ragazzi nella fascia di età cruciale (16-19 anni) rappresentano un punto di partenza particolarmente significativo.
Tra coloro che intendono frequentare l’Università, poco meno di uno su cinque (18%) è già sicuro di iscriversi a un corso di laurea scientifico; più di uno su quattro ci sta pensando (29%). Uno su due (50%) lo esclude. Per la stragrande maggioranza dei ragazzi (72%) il punto fondamentale è che la scienza risulta difficile o noiosa. D’altra parte, se andiamo a vedere le motivazioni di chi ha già scelto di fare studi scientifici, il risultato è speculare: si studierà scienze perché ‘appassionano gli studi scientifici’ (81%).
E’ molto importante prendere in considerazione il contesto scolastico, giacché è con ogni probabilità proprio in tale contesto che si forma la percezione di una scienza ‘difficile’ e ‘noiosa’. Tanto per fare un esempio, oltre il 75% degli intervistati ritiene che gran parte delle difficoltà nello studiare matematica siano dovute al fatto che la maggior parte degli insegnanti non spiega bene. Poco più di uno studente su tre, poi, ha avuto l’occasione di utilizzare un laboratorio di scienze, nonostante la stragrande maggioranza di quelli che hanno avuto questa opportunità la giudichi molto utile per la propria preparazione. Fonte: Observa

Dolce dipendenza

Dipendenza, come quella da nicotina, ma anche depressione, schizofrenia, epilessia. Capire come i recettori di alcune sostanze si agganciano alla membrana cellulare potrà aiutare a sviluppare strategie terapeutiche per le più diverse patologie. Ne sono convinti i ricercatori dell'Università del della California del Sud che, sulle pagine di Nature Neuroscience, rivelano il ruolo cruciale dello zucchero in questo processo.
La ricerca permette per la prima volta di evidenziare nel topo una parte della struttura del recettore nicotinico per l'acetilcolina, una proteina del canale ionico, responsabile di avvertire la cellula neuronale dell'arrivo della nicotina permettendone l'entrata. E di capire quale sia il ruolo importante delle molecole di zucchero presenti in queste catene proteiche.
Quando un elemento chimico, come la nicotina, si aggancia a un canale ionico sulla membrana cellulare, la proteina comincia a cambiare la sua forma e a propagare un segnale che arriva fino dentro il neurone. Un processo ancora dibattuto e le cui basi molecolari non erano state ancora descritte nei particolari.
Il gruppo guidato da Lin Chen, professore associato di biologia molecolare e computazionale presso l'università californiana, ha individuato il passaggio chiave nell'aggancio delle molecole di zucchero alla superficie del recettore. “Sono come dei ponti fra il sito di legame del neurotrasmettitore e la zona della membrana dove si trova il cancello attraverso il quale la sostanza deve passare”, spiega il ricercatore. “E' come se lo zucchero aprisse e chiudesse la porta”. E infatti, se si rompe la catena dello zucchero la sostanza non passa più.
All'interno del recettore i ricercatori hanno anche individuato una molecola di acqua. Una scoperta significativa poiché solitamente le proteine sono composte da materiale idrofobico che aiuta a mantenerne la struttura. “La sua funzione potrebbe essere paragonata a quella di un lubrificante per l'entrata della sostanza dentro la cellula”, spiega ancora Chen.
Fonte: Galileo 23-07-07

martedì 24 luglio 2007

Liberati "i sei di Bengasi" !

Sono a Sofia, finalmente liberi, le 5 infermiere bulgare ed il medico d'origine palestinese (naturalizzato bulgaro) che più di 8 anni fa furono accusati di aver diffuso l'Aids tra i bambini ricoverati in un ospedale di Bengasi, in Libia. E' stato un caso diplomatico, a dir poco torbido ed inquietante, che ha tenuto l'opinione pubblica con il fiato sospeso per gli ultimi 3 anni. Il fatto è accaduto alla fine del 1998, quando secondo lo stato libico gli accusati - diventati famosi con il nome “i sei di Bengasi”- avrebbero deliberatamente contagiato oltre 400 bambini con sangue infetto da Hiv. Da quel giorno “i sei” sono entrati in un tunnel infernale che sembrava non aver più fine. L’accusa, lanciata dallo stesso Muammar Gheddafi, è di aver commesso un crimine contro lo stato libico, un complotto organizzato dalla Cia o dall’Intelligence israeliana Mossad, ideato per colpire la Libia con un’epidemia di Aids e indebolire cosi il suo potere nel mondo arabo. Dal punto di vista scientifico, la questione è stata velocemente chiarita. Una commissione di esperti nominata da l’Unesco - formata da Luc Montagnier e Vittorio Colizzi - è stata chiamata in causa. I due esperti, che hanno avuto accesso ai dati clinici e ai campioni virali dei bambini infetti, hanno dichiarato nel 2003 l'innocenza dei 6 accusati. Gli studi, pubblicati poi su riviste internazionali, hanno dimostrato che l’infezione era presente nell’ospedale dove operava il personale straniero ben prima del loro arrivo. Né queste prove, né gli appelli di numerosi scienziati e premi Nobel sono serviti a porre fine all’assurda accusa. Si doveva trovare una spiegazione al perché un contagio associato alla decadenza morale dell’Occidente si fosse diffuso così rapidamente tra gli innocenti in un Paese che si considera all’avanguardia della purezza islamica. Dopo diversi processi "i sei" sono stati condannati a morte per fucilazione nel 2004, condanna revocata e riconfermata nel dicembre 2006. La prima buona notizia è arrivata lo scorso 17 luglio, quando il Consiglio superiore delle istanze giudiziarie ha deciso di commutare le pene di morte in carcere a vita. Questo grazie alla rinuncia da parte delle famiglie dei bambini, a cui è stato versato un indennizzo di un milione di dollari per vittima. Secondo la legge islamica, infatti, l’indennizzo "è il compenso del sangue che implica il perdono". La seconda ottima notizia è arrivata invece oggi: la libia ha concesso l’estradizione “dei sei”, e il presidente bulgaro, Giorgi Parvanov, ha emesso un decreto per la loro grazia. I sei sono atterrati questa mattina a Sofia sul jet presidenziale francese, accompagnati dalla signora Sarkozy, il commissario europeo per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner e il segretario generale dell'Eliseo Claude Gueant. La fase finale della trattativa è stata condotta dal presidente francese Nicolas Sarkozy, ovviamente spalleggiato dall'Unione europea. L'apparizione finale del leader francese, tempistica perfetta che gli ha conferito sui giornali i meriti per la risoluzione della questione libica, ha immediatamente sollevato non poche polemiche. Soprattutto da parte di chi da anni portava avanti la battaglia. Comunque, tutto bene ciò che finisce bene, verrebbe da pensare… Ma rimane il fatto che nel XXI secolo siamo stati testimoni di un caso che sembra tratto dalle pagine della “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni. Storia che inizia con: “I giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagato la peste con certi ritrovati sciocchi non meno che orribili…”

lunedì 23 luglio 2007

Il tallone d'Achille dell'Hiv

Un altro passo avanti nella messa a punto di un vaccino contro l'Hiv-1 è stato compiuto da un team internazionale di ricercatori, tra cui diversi italiani. Alla base dello studio, pubblicato su Science, sono tre diverse varianti geniche scoperte nel Dna di persone infettate dal virus. Varianti che avrebbero permesso ai pazienti di tenere a bada l'infezione e ritardare l'insorgere della malattia conclamata.
Il progetto di ricerca, portato avanti con l'impiego delle tecnologie più avanzate di genetica molecolare e sostenuto dal Center for HIV/AIDS Vaccine Immunology (CHAVI), presente presso la Duke University di Durham nel North Carolina (USA), e dall'EuroCHAVI, facente capo all’Università di Losanna (Svizzera), ha coinvolto nello studio 19 gruppi internazionali. Tra questi compaiono 3 gruppi di ricerca italiani, coordinati rispettivamente da Antonella Castagna e da Adriano Lazzarin dell'Istituto San Raffaele di Milano, da Andrea De Luca dell'Università Cattolica di Roma e Fondazione ICONA e da Andrea Cossarizza dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
Gli stadi iniziali dell’infezione da Hiv prevedono prima una fase di proliferazione attiva del virus, che può essere rintracciato nel sangue del paziente, seguito da una fase latente e spesso asintomatica in cui il virus si annida all’interno dei linfociti. Durante questo periodo di latenza, ogni paziente presenta una risposta immunitaria diversa, a cui corrisponde un diverso livello di carica virale riscontrabile nel sangue.
Per capire i meccanismi molecolari alla base di questa diversità, i ricercatori hanno utilizzato per la prima volta nel campo delle malattie infettive un approccio di tipo genomico. Essi hanno cioè analizzato il genoma di un gruppo 486 pazienti, accuratamente selezionato tra oltre 30 mila provenienti dall’Europa e dall’Australia, allo scopo di individuare quali differenze genetiche fossero responsabili di un miglior controllo della proliferazione del virus.
Dallo studio sono emerse tre varianti, detti polimorfismi, di geni chiave per il sistema immunitario. Due di queste sono relative ai geni Hla-A e Hla-B, che vengono normalmente “spenti” dal virus Hiv-1 deprimendo l’intero sistema immunitario, e che fanno parte del sistema Hla (antigene leucocitario umano), deputato al riconoscimento delle molecole estranee.
Il terzo polimorfismo si trova invece sul gene Hla-C, che controlla l’espressione dei primi due, ma che non viene silenziato da Hiv-1, permettendo così in alcuni individui il controllo della proliferazione virale. Una sorta di “tallone d'Achille dell'Hiv” che, secondo i ricercatori, potrebbe essere stimolato in modo controllato, cioè con un vaccino, per indurre una risposta immunitaria.
Fonte: Galileo 20-07-07

Si conclude il caso Welby

L'anestesista Mario Riccio, che interruppe la ventilazione meccanica aiutando Piergiorgio Welby a morire, è stato prosciolto dall'accusa di “omicidio del consenziente”.
E’ una sentenza molto importante che riconosce il diritto del malato di rifiutare la terapia o la prosecuzione di terapie non volute.
La decisione è del gup di Roma Zaira Secchi, “non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato” è stata la formula utilizzata per sentenziare il proscioglimento di Mario Riccio. In pratica, il giudice ha stabilito che Piergiorgio Welby aveva il diritto di chiedere di interrompere il trattamento medico cui era sottoposto, e l'anestesista che interruppe la ventilazione artificiale aveva il dovere di assecondare questo diritto. Piergiorgio Welby, affetto da una grave forma di distrofia muscolare, morì a Roma nel dicembre scorso. L'8 giugno il gup di Roma Renato Laviola respinse la richiesta di archiviazione della posizione di Riccio, chiedendo alla procura di Roma di formulare un “capo di imputazione coatto” e chiedere il rinvio a giudizio del medico per il reato di “omicidio del consenziente”. Il procuratore Giovanni Ferrara ed il sostituto Gustavo De Marinis, titolari dell'inchiesta, preannunciarono che, in sede di esame della richiesta di rinvio a giudizio, la loro posizione sarebbe stata la stessa.
Oggi, infatti, il pm Francesca Loy ha sostenuto davanti al gup che con l'interruzione della ventilazione meccanica a Piergiorgio Welby praticata da Riccio é stato attuato un diritto del paziente che "trova la sua fonte nella Costituzione e in disposizioni internazionali recepite dall'ordinamento italiano e ribadito in fonte di grado secondario dal codice di deontologia medica".
Fonte: Ansa 23-07-07

domenica 22 luglio 2007

Scienza da vedere

E' stato inaugurato ieri il museo della scienza più all'avanguardia del mondo, si chiama Liberty Science e si trova nel New Jersey (Usa).
Il museo di Jersey City è dedicato a tutti, dagli scienziati ai bambini. L'idea è di rappresentare uno spaccato della scienza del XXI secolo che ha effetti diretti sulla vita di tutti i giorni.
Nelle varie sale si passa dall'ecologia, all'antropologia, alla medicina, alla tecnologia, alle risorse energetiche, con tutta una serie di spazi dedicati all'interattività e alla progettazione dei propri esperimenti.
"Ecco dove sta andando l'uomo!" dice il museo allo spettatore.

sabato 21 luglio 2007

I babbuini e gli anticoncezionali

E chi lo ha detto che solo gli umani controllano le nascite?
Uno studio apparso su Hormones and Behaviour riporta che anche i Babbuini fanno uso di anticoncezionali. Infatti, le femmine dei babbuini verdi mangiano una pianta che impedisce loro di rimanere incinte.
I ricercatori hanno osservato che gli esemplari femmine che popolano il parco naturale di Gashaka in Nigeria mangiano, solo nella stagione delle piogge, una grande quantita' di una specie di prugna (Vitex doniana) ricca di un ormone progestinico di origine naturale. L'ormone avrebbe lo stesso effetto di quello sintetico, usato nei contraccettivi umani.
Fonte: Ansa 20-07-07

venerdì 20 luglio 2007

Il potere dell'ape regina

Le api regine manipolano il comportamento delle giovani api operaie della colonia emettendo un composto che inibisce l'apprendimento di comportamenti aggressivi.
È quanto risulta da una ricerca condotta da Vanina Vergoz dell'
Università di Otago a Dunedin, in Nuova Zelanda, e illustrata in un articolo pubblicato sull'ultimo numero di "Science".
Secondo quanto riportato nell'articolo, questa azione inibitrice sarebbe esercitata in particolare dall'acido omovanillinico I. Un componente del feromone mandibolare della regina, che agisce interferendo con il sistema dopamminergico delle giovani api destinate ad alimentare e ad accudire la regina.
Il blocco dell'apprendimento non riguarda tuttavia l'acquisizione di capacità connesse a tutte le attività relative all'approvvigionamento del cibo, come quelle relative alla conoscenza di colori, odori e localizzazione dei fiori, essenziali quando, una volta maturate, le giovani api passeranno alla funzione di bottinatrici.
Il blocco dell'apprendimento - testato sperimentalmente dai ricercatori attraverso una serie di esperimenti appositamente progettati - non è permanente. Infatti, una volta allontanate dall'influenza del feromone mandibolare emesso dalla regina, le api riacquistano via via anche la capacità di acquisire comportamenti aggressivi e quindi anche la capacità di svolgere le funzioni di difesa dell'alveare.
Fonte: Le Scienze 20-07-07

giovedì 19 luglio 2007

Geckel... che colla!

Nel loro piccolo la cozza ed il geco sono considerati due campioni. Sono entrambi capaci di produrre adesivi naturali dalle proprietà eccezionali.
Queste stesse proprietà sono state riprodotte artificialmente grazie a una ricerca della Nortwestern University. Il nuovo materiale battezzato "geckel" sembra riuscire a coniugare i differenti aspetti degli adesivi prodotti dai due animali: quello di essere una colla reversibile - il che consente al geco di camminare su una parete verticale o di restare temporaneamente attaccato a essa - e quella di resistere all’acqua, come nel caso dei mitili.
Partendo dallo studio delle proprietà di un amminoacido, chiamato 3,4-L-diidrossifenilalanina (DOPA) e contenuto in alte concentrazioni nelle proteine prodotte dalle cozze, i ricercatori sono riusciti a realizzare polimeri che imitino le proprietà dell’adesivo. Il passo successivo è stato quello di imitare la struttura anatomica delle zampe del geco: la nanofabbricazione di strutture a schiera in silicone che possiedono una flessibilità sufficiente per adattarsi a superfici scabre. Rivestendo le strutture con il polimero precedentemente creato, gli scienziati sono cosi riusciti ad ottenere un sottile strato di polimero sintetico con capacità adesive eccezionali.
Secondo quanto si legge sulla rivista “Nature”, che dedica al geckel la copertina di questa settimana, si tratterebbe di un risultato che potrebbe aprire le porte a notevoli applicazioni in campo biomedico, militare, industriale, e forse anche ai prodotti di largo consumo.
Gli autori prospettano anche una possibile applicazione in chirurgia. La sostituzione dei punti di sutura o la realizzazione di cerotti a rilascio di farmaco di nuova generazione, in grado di resistere all’acqua ma facili da rimuovere una volta completato il processo di guarigione.
Il risultato viene considerato di grande importanza soprattutto perché è riuscito dove molti altre ricerche hanno fallito, ovvero nel riprodurre le caratteristiche adesive anche dopo molti cicli di contatto con una superficie.
Fonte: Le Scienze 19-07-07

venerdì 13 luglio 2007

Un cucciolo di mammut tra i ghiacci della Siberia

Dopo un sonno durato diecimila anni, Ljuba è tornata alla luce tra i ghiacci della Siberia.
Lungo appena 130 centimetri e pesante una cinquantina di chili, il cucciolo di mammut ritrovato da un pastore di renne nella penisola di Yamal rappresenta secondo gli scienziati una scoperta sensazionale.
Salvo la coda smozzicata da qualche predatore, è in uno stato di conservazione pressoché perfetto: è la prima volta che ciò accade. L'animaletto è femmina e l'hanno battezzata Ljuba, da "ljubov", amore. La piccola sembra ancora addormentata: ha il corpo ricoperto da una lieve peluria, gli occhietti chiusi, la proboscide intatta. Sarebbe morta in seguito alla caduta in una crepa vicina alla riva del fiume: aveva soltanto cinque mesi. Nel permafrost, terreno perennemente ghiacciato, la sua pelle e i suoi tessuti molli hanno resistito al sigillo del tempo.
L'inverno prossimo il cucciolo sarà spedito in Giappone per essere sottoposto a un esame di tomografia computerizzata: le verrà fatta una sorta di radiografia tridimensionale che svelerà ogni particolare della sua anatomia interna. "Si tratta di un esemplare straordinario che consentirà di mettere a confronto i mammiferi preistorici con quelli attuali", spiega il professor Naoki Suzuki dell'università giapponese dove è attesa Ljuba. "Siamo stati fortunati: un animale di taglia più grande non entrerebbe nella camera per gli esami tomografici".
L'eccezionale ritrovamento risale ai primi di maggio. Yurij Khudi, il pastore protagonista della scoperta, dice di averci sbattuto il naso per caso. "Non cercavo fossili, come molta gente fa dalle mie parti", sostiene. Una volta, i "tombaroli" di mammut rivendevano soltanto le loro zanne, di pregiato "avorio nero". Oggi, sul mercato dell'antiquariato paleontologico viene ricercato ogni organo dei pachidermi fossili. Capoluogo del traffico illegale di questi reperti è la città di Yakutsk, dove si smerciano pelle, ossa o interi scheletri di mammut. Su internet sono in vendita perfino i peli dell'animale preistorico a circa 50 dollari l'uno.
Ljuba visse la sua breve vita alla fine dell'ultima glaciazione, quando i mammut, apparsi circa 4,8 milioni di anni fa, cominciarono a svanire dal pianeta. La causa della loro estinzione non è stata ancora determinata: ha influito il riscaldamento del clima e probabilmente la caccia che gli dava l'uomo preistorico. Sulla remota isola di Wrangel, nell'estremo oriente russo, una piccola popolazione di mammut sopravvisse fino a 5000 anni fa.
Fonte: La Repubblica 11-07-07

Scienza e letteratura

E’ Hans Magnus Enzensberger il vincitore dell’ultima edizione del Premio letterario «scienza e letteratura» dell’Accademia nazionale delle bioteconologie - Merck Serono.
Enzensberger, tedesco, premiato giovedì 11 luglio a Roma, succede al giapponese Kazhuo Ishiguro, vincitore dell'edizione 2006.
Questo riconoscimento è l’unico al mondo destinato a chi cerca con il proprio lavoro letterario di ricucire lo scisma tra sapere scientifico e umanistico. Una frattura che si è verificata solo nei due ultimi secoli: tra scrittori come Lucrezio e scienziati come Galileo non c'era una separazione.
Hans Magnus Enzensberger, considerato uno dei maggiori intellettuali europei, è poeta, filosofo, saggista, giornalista, critico letterario e analista sociale tedesco. E’ divenuto famoso con «La fine del Titanic» (1990) e , almeno presso il grande pubblico, forse ancor più con «Il mago dei numeri» (1997). Un libro scritto per far innamorare della matematica la figlia e divenuto un best-seller «mio malgrado», come ha sottolineato l’autore a Roma. La passione per la conoscenza tiene insieme scienza e letteratura ha detto Eszenberger: «Il contare degli scienziati e il raccontare dei letterati sono figli dello stesso verbo latino: computare».
Eszenberger ha ricevuto il premio per la sezione narrativa. Il riconoscimento per la sezione «saggi scientifici» è stato invece attribuito a Guido Barbujani per il libro «L'invenzione delle razze» (Bompiani).
Barbujiani professore di genetica all'Università di Ferrara si occupa di genetica umana e di evoluzione. Da molto tempo è impegnato in opere di divulgazione che hanno lo scopo di diffondere cone il concetto di razza sia biologicamente infondato.
«La scienza sta acquisendo un peso sociale sempre maggiore – ha commentato Paolo Grillo, direttore relazioni istituzionali Merck Serono - che ha dato l'avvio al premio cinque anni fa. «Il nostro obbiettivo, attraverso il Premio è proprio di far entrare la scienza nei discorsi comuni, di raccontare il legame tra questo mondo e la vita di tutti i giorni, di chiarire il ruolo cruciale della scienza nello sviluppo sociale ed economico del nostro paese».
Fonte: Corriere della sera 12-07-07

martedì 10 luglio 2007

La hit parade degli uccelli

Per fare colpo sulle proprie compagne i passeri non solo devono essere intonati, ma devono anche saper cinguettare le ultime tendenze musicali del momento. Così come lo stile di un album dei Bee Gees potrebbe suonarci un po' antiquato rispetto alle ultime uscite dei più recenti gruppi hip hop, sembra incredibile ma anche il cinguettio degli uccelli può andare fuori moda.
Secondo alcuni ricercatori, questi periodici cambi stilistici nel canto degli uccelli potrebbero spiegare perché a partire da un certo momento sorgono delle barriere selettive nell'accoppiamento degli uccelli. Ad esempio, accoppiandosi solo con gli esemplari che hanno sviluppato le nuove capacità sonore, gli uccelli fanno sì che spontaneamente venga a crearsi una nuova specie.
Gli ecologisti che studiano il comportamento degli animali sanno da tempo che alcuni uccelli sviluppano delle forme di "dialetti" locali nel loro modo di cantare, e che gli uccelli che vivono in una certa area geografica sono molto più sensibili a cinguettii che riconoscono appartenere al proprio dialetto, piuttosto che a "lingue", anzi, canti sconosciuti. Meno informazioni si hanno invece su come e quanto rapidamente queste differenze nel canto degli uccelli vadano formandosi.
Per studiare come questi dialetti cambiano nel tempo, Elizabeth Derryberry, una ecologista del comportamento della Duke University di Durham, nel North Carolina (Stati Uniti), ha comparato le registrazioni dei cingettii di esemplari maschi di passeri dalla corona bianca raccolte a partire dal 1979 (ovvero quando i Bee Gees raggiunsero la cima delle classifiche), fino al 2003.
Le "canzoni moderne", ovvero i nuovi cinguettii che sono andati formandosi nel tempo, sono emersi essere più lenti e con tonalità più basse. Questa piccola differenza risula essere però molto importante per gli uccelli.
Riproducendo le registrazioni alla presenza di 10 esemplari femmina e 20 esemplari maschio di questo tipo di passero, Elizabeth Derryberry si è accorta che le femmine reagivano più spesso sollecitando l'accoppiamento, e i maschi assumendo atteggiamenti aggressivi di protezione del territorio, quando ascoltavano la versione più moderna dei cinguettii, seppure tutte le registrazioni fossero della stessa qualità e gli uccelli non si "conoscessero" tra loro.
Come spiega Elizabeth Derryberry, il risultato dello studio dimostra che differenze significative negli stili di cinguettio possono emergere anche in pochi anni, facendo in modo che si creino velocemente barriere di accoppiamento che portano alla nascita di nuove specie.
Fonte: Ulisse Scienza Esperienza 6-07-07

lunedì 9 luglio 2007

Una cellula sintetica

La ricetta si compone di pochi ingredienti: 37 enzimi, lipidi e altre molecole per la sintesi delle proteine più un pugno di geni Gfp (green fluorescent protein). Ma certo il risultato non è altrettanto banale: la realizzazione della prima cellula primordiale creata dal nulla, ripercorrendo “dal basso verso l'alto” le tappe che hanno caratterizzato la comparsa della vita sulla Terra.
C'è riuscito un gruppo di ricercatori italiani del Centro Enrico Fermi dell'Università Roma 3, Roma, coordinato da Giovanni Murtas, come ha raccontato lo stesso scienziato al Convegno di Zurigo "Synthetic Biology 3.0".
Per creare la cellula sintetica i ricercatori italiani hanno prima disidratato dei lipidi, creando così delle strutture vescicolari – liposomi artificiali – dove sono stati inseriti geni che esprimono gli enzimi in grado di sintetizzare nuove molecole di lipidi, e che quando lo fanno sono facilmente individuabili perché si colorano di verde. La speranza, realizzata, era di creare altri liposomi che crescono e si dividono per formare altre cellule (vescicole) figlie. Cioè una cellula viva, che riproduce se stessa.
Le cellule così create, che hanno funzionato per alcune ore, sono un modello di ciò che accadde quando le prime forme di vite apparvero sulla Terra. Per renderle davvero complete i ricercatori hanno fornito le cellule anche di ribosomi, essenziali per la sintesi proteica, costituiti da molecole proteiche e da molecole di RNA, derivandoli da Escherechia Coli.
Fonte: Galileo 9-07-07

Perché i panda fanno la verticale?

Le mucche producono più latte se ascoltano Beethoven, i pinguini possono sparare le proprie feci come cannoni, gli elefanti riescono a imitare il rumore di un autocarro, le mamme lama cantano ninne nanne ai loro piccoli...
Quasi ogni giorno riviste scientifiche, autori di documentari o scienziati naturalisti presentano una nuova scoperta sul mondo animale.
La varietà, l'imprevedibilità o la semplice stranezza delle loro teorie è davvero infinita, oltre che infinitamente affascinante. La vita animale è tutto tranne che noiosa e spesso gli animali hanno comportamenti molto più simili a quelli dell'uomo di quanto si possa comunemente pensare.
Sapevate per esempio che gli alci si ubriacano e che le renne possono sviluppare una dipendenza dai funghi allucinogeni? E che, se i panda fanno la verticale per amore, i topi corteggiano le femmine con vere e proprie serenate?
Tutto questo viene raccontato nel libro "Perché i panda fanno la verticale?" di Brown Augustus, pubblicato a maggio dalla Salani.
283 pagine di curiosità della vita animale al prezzo di 13E

martedì 3 luglio 2007

commento di parte...

Io, ovviamente, tifavo per New Zealand e devo dire che alla fine dell'ultima poppa ho pensato: "qui deve succedere qualcosa di grosso". Quando ho visto lo spi di Alinghi in acqua ho urlato "è fatta!".
Poi sono rimasta a bocca aperta, come penso la maggior parte della gente che ha seguito la regata e che è amante di questo sport, sembrava di vedere uno di quei film in cui tutto succede negli ultimi 30 secondi!
A me è successo qualcosa di simile, nel mio piccolo, in una regata di Hobie-Cat 16. Equipaggio, come nella vita anche nella vela, io e Ale. Lui timoniere, io prodiere. Partenza straordinaria (quando la strategia la fa chi ha talento... cioè io), in testa per quasi tutta la regata, in sfida continua con l'imbarcazione dietro di noi. Poi, sugli ultimi bordi dell'ultima bolina ho valutato male la layline, abbiamo dovuto fare un bordo in più ed ecco che siamo passati in boa per secondi. In poppa gli sfidanti hanno allungato le distanze, abbiamo deciso di allargare la rotta sul lasco, più lungo ma più veloce. A quel punto ho pensato "è finita, per vincere deve veramente succedere qualcosa di grosso". Ma non abbiamo mai mollato, filavamo via che era un piacere, e ad un certo punto un miraggio... il cat davanti a noi stava sbagliando il cancello di arrivo! E allora, cazza randa, cazza fiocco, stringi il lasco e punta il cancello. L'altro cat si è accorto dell'errore, si riprende, ma noi arrivavamo come una furia, stringendo il più possibile per tenerlo fuori dal cancello.... Ci hanno provato ma niente da fare siamo passati prima noi... PRIMI!
Bè, per New Zealand non è andata così, alla fine ha vinto Alinghi...
Io non nutro un grande amore per la Svizzera, paese in cui ho passato 5 anni della mia vita, però devo ammettere che Alinghi è forte.
Certo, l'equipaggio è quasi tutto neozelandese. Per lo skipper Brad Butterworth e altri quattro velisti, questa è la quarta vittoria di fila in America’s Cup...
Però dai, cosi la prossima sfida rimarrà nel mediterraneo. E poi chissà magari questa volta riuscirò ad andare a vedere le regate sul posto!

Vince Alinghi... per un soffio

Per un solo secondo Alinghi vince l’America’s Cup.
La Svizzera diventa oggi il terzo paese, dopo gli USA e la Nuova Zelanda, ad aver vinto e difeso la Coppa in 156 anni di storia dell’evento. La sfida Alinghi-New Zealand è finita con un 5-2.
E' stata una regata mozzafiato:
I kiwi hanno fatto un'ottima partenza stringendo Alinghi sulla barca giuria (potevano osare anche di più). New Zealand accumula 30 metri di vantaggio ma Alinghi, da parte sua, resiste sopravento e riesce a tenere New Zealand a sinistra in layline. E così è il Defender a virare per primo sulla boa, con 7 secondi di stacco.
New Zealand contrattacca nella poppa: dopo una serie di strambate le barche si ritrovano pari e mure a dritta. A questo punto Barker riesce a ‘rollare’ Alinghi e a passare per primo al cancello di poppa, con 14 secondi di vantaggio.
In bolina la battaglia ricomincia, bordo dopo bordo, l’arrivo in boa è decisivo per l’esito della regata. In layline New Zealand vira e poggia violentemente, cercando di infilarsi dietro ed interno ad Alinghi, ma ciò costringe il Defender a manovrare per evitare il contatto. Gli Umpire penalizzano immediatamente la barca kiwi. In boa il vantaggio per Alinghi è di 12 secondi e Barker ha una penalità da pagare.
A questo punto tutto sembra già scritto, ma arriva l'inaspettato.
Alla fine dell'ultima poppa il vento salta in prua e i kiwi sono più veloci a issare il genoa, mentre Alinghi ha un problema al tangone, manda lo spi in acqua e rallenta bruscamente.
La regata si riapre, mentre Alinghi è in difficoltà New Zealand accorcia le distanze e gira su se stessa per pagare la penalità... Alinghi si riprende, i Kiwi rallentano, il traguardo è li davanti e le due imbarcazioni una accanto all'altra...
Sembra di vedere un fotofinish a rallentatore...
Alla fine è Alinghi a tagliare il cancello per primo, primo per 1 solo secondo!
In tutta la storia dell'America's cup non si era mai vista una sfida cosi combattuta ed emozionante. Durante tutte e 7 le regate della finale le due imbarcazioni si sono sempre date filo da torcere, una vicina all'altra, lasciando gli spettatori con il fiato sospeso fino alla fine.

Meno gravidanze con la legge 40

Il registro parla, finalmente.
A tre anni dall’entrata in vigore della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, il ministro Livia Turco ha presentato in Parlamento i dati relativi ai cicli effettuati dal 2003 al 2005 raccolti dal Registro Nazionale delle Pma dell’Istituto Superiore della Sanità: dopo il 10 marzo del 2004, data dell’entrata in vigore della legge 40, diminuiscono le gravidanze, aumentano i trattamenti che non hanno successo, sono meno gli ovociti inseminati a fronte di un numero maggiore di embrioni trasferiti, aumentano i parti plurimi e gli esiti negativi delle gravidanze.
I dati ottenuti dai 169 centri censiti indicano che la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi passa dal 24,8 per cento nel 2003 al 21,2 per cento nel 2005 con una riduzione di 3,6 punti percentuali. Applicando poi la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi nel 2003 a quelli eseguiti nel 2005 si evince una perdita ipotetica di 1.041 gravidanze.
Il numero di trasferimenti effettuati con un solo embrione è passato dal 13,7 per cento del 2003 al 18,7 per cento del 2005 mentre, dal momento che la legge 40 obbliga alla fecondazione di non più di tre ovuli e al trasferimento di tutti gli embrioni fecondati, nel 2005 più del 50 per cento dei trasferimenti è stato effettuato con tre embrioni, contro il 44 per cento del 2003. Uno dei risultati è l’aumento delle gravidanze plurime: dal 22,7 per cento del 2003 si passa al 24,3 per cento del 2005. L’altro è l’aumento dal 23,4 per cento al 26,4 per cento degli esiti negativi delle gravidanze, per aborti spontanei, morti intrauterine, gravidanze ectopiche.
"Auspico che a tre anni dall'applicazione della legge si continui a riflettere, con grande rigore e sobrietà, sulla legge medesima, a partire dagli esiti dell'applicazione delle tecniche", ha detto il ministro nella sua relazione, "al fine di garantire alle donne e alle coppie la migliore efficacia e sicurezza delle tecniche, e al fine di garantire al meglio proprio i principi ispiratori dichiarati dalla legge, che sono la tutela della salute delle donne e la tutela degli embrioni".
Fonte: Galileo 2-07-07

Match point Alinghi

Stavolta tutto sembra pronto per la 7° sfida della 32° Coppa America. Le previsioni parlano di brezza a 17 nodi.
Alinghi conduce 4-2 su New Zealand e quindi la regata potrebbe essere decisiva.
Vigilia a terra per il team svizzero, con l'equipaggio impegnato in ginnastica, ripasso video e molto riposo. Anche per i 'kiwi' niente acqua, ma seduta di potenziamento e concentrazione.
In caso di vittoria di Alinghi, l'America's Cup 2009 si svolgera' a Valencia al 99%.

Vulnerabili all'Hiv

La nostra vulnerabilità all'HIV sarebbe il prezzo pagato dalla nostra specie per la resistenza a un altro virus, sviluppata dai nostri antenati. Lo sostiene una ricerca appena pubblicata su Science, firmata da un gruppo di genetisti del Fred Hutchinson Cancer Research Center in Seattle.
I ricercatori, confrontando il patrimonio genetico umano con quello di altre grandi scimmie, hanno scoperto che il Dna degli scimpanzé porta i segni di ripetuti incontri con un virus oggi estinto, PtERV1.
Anche PtERV1, come Hiv, è un retrovirus, costituito da Rna che viene poi convertito in Dna e inserito nel patrimonio genetico dell'organismo ospite. Nel corso dell'evoluzione questo tipo di virus lascia una traccia nel Dna dell'organismo che infetta. Pare che questo virus abbia iniziato a infettare gli scimpanzé circa quattro milioni di anni fa, dopo la separazione evolutiva dall'essere umano. Mentre i nostri cugini furono colpiti duramente dal virus, i primi esseri umani furono invece in grado di contrastarlo. Non c'è traccia di Dna virale nel genoma umano, mentre in quello dello scimpanzé sono ben 130 le sequenze riconducibili a PtERV1.
Il problema è che a difenderci sarebbe stata proprio una proteina che ora ci rende suscettibili all'Hiv. Si tratta della proteina chiamata TRIM5. Per confermarlo, i ricercatori hanno ricostruito parte del virus in laboratorio, poi hanno provato a infettare cellule umane in laboratorio. Cosa impossibile, a meno che questa proteina non fosse rimossa. Una volta rimossa, però, la cellula diventava anche meno suscettibile all'infezione da Hiv.
Purtroppo, secondo gli stessi ricercatori, questa scoperta non aiuterà molto nel difficile compito di sviluppare un vaccino efficace contro l'Hiv.
Fonte: galileo 22-06-07

lunedì 2 luglio 2007

Hatshepsut: la donna faraone ritrovata

E’ lei, sua Maestà Hatshepsut in persona, la donna che 3500 anni fa si autoproclamò faraona rifiutando il ruolo di reggente, la mummia rinvenuta più di un secolo fa nei pressi di Luxor e conservata al Museo egizio del Cairo.
A dare il sensazionale annuncio nel corso di una conferenza stampa, Zahi Hawass, soprintendente alle antichità egizie dello stato arabo. L’attribuzione, ha spiegato l’archeologo, per il momento si basa sulla perfetta coincidenza di un molare, rinvenuto in un vaso con altri organi mummificati della faraona, e la sua sede nel cranio della mummia.
Un team internazionale di esperti sta adesso confrontando il Dna della mummia con campioni prelevati dalle ossa di Amos Nefertari, nonna di Hatshepsut. E anche se il recupero di materiale genetico dalle mummie è molto difficile, gli studiosi, si sono dichiarati ottimisti.
Nel 1903 l’archeologo britannico Howard Carter, il futuro scopritore della sepoltura di Tutankhamon, trovò una prima volta questa mummia abbandonata a terra nella Tomb King Valley 60, ma non le dette importanza. Lì rimase fino a un paio di mesi fa, quando Hawass la fece trasferire al Cairo per eseguire le analisi in un laboratorio allestito di recente nel Museo.
La sua identificazione è ritenuta una delle scoperte archeologiche più rilevanti dopo quella della sepoltura di Tutankamon.
Nel 1503 a.C Hatshepsut riuscì a proclamarsi faraona al posto del figliastro e rimase al potere per 21 anni, uno dei regni più duraturi dell’Antico Egitto.
Fonte: Galileo 27-06-07

Nata da ovocita maturato in laboratorio

È nata la prima bambina creata da un ovocita maturato in laboratorio, congelato per un certo tempo e quindi scongelato e fecondato.
La notizia dell'evento, avvenuto in Canada, è stata data al convegno annuale della European Society of Human Reproduction and Embryology in corso a Lione, in Francia.
La bimba, che sta crescendo bene, è nata da una di 20 pazienti sofferenti di sindrome dell'ovaio policistico, e altre tre donne che hanno partecipato allo studio sono attualmente in gravidanza.
"Il congelamento di un ovocita sta diventando una parte importante dei trattamenti contro l'infertilità", ha detto Hananel Holzer, che ha diretto la ricerca svolta presso il
McGill Reproductive Center di Montreal, in Canada.
"Le nuove tecniche di congelamento, come quella di ‘vetrificazione' dell'ovocita, hanno aumentato significativamente i tassi di sopravvivenza degli ovociti, e quindi quelli di gravidanza. Tuttavia, finora le gravidanze registrate erano il risultato della fertilizzazione di ovociti ottenuti dopo un processo di stimolazione ovarica. Purtroppo, alcune pazienti che potrebbero fruire di queste tecniche non hanno a disposizione il tempo necessario o si trovano in condizioni che alcuni oncologi considerano come una controindicazione per i trattamenti di stimolazione ormonale, come per esempio essere positive al recettore per gli estrogeni del cancro del seno."
"In queste circostanze - ha proseguito Holzer - l'ovocita può essere raccolto dalle ovaie senza stimolazione ormonale e l'ovocita immaturo può essere fatto maturare in laboratorio prima di essere congelato o vetrificato, per essere fecondato in un momento successivo, e dar luogo quindi a una gravidanza per trasferimento embrionale"
La ricerca è alle fasi iniziali e finora il metodo è stato sperimentato solamente in pazienti che non erano affette da tumore. "Tuttavia - ha sottolineato Holzer - esso ha la potenzialità di diventare la principale opzione per la conservazione della fertilità in pazienti che non hanno la possibilità o il tempo di sottoporsi alla stimolazione ormonale."
Fonte: Le scienze 2-06-07