martedì 16 gennaio 2007

Cibo Biotech

E' natura umana rifiutare cio' che non si conosce bene. Nel '400, quando prese piede in Occidente la stampa, furono in molti coloro che si opposero a questo nuovo metodo di diffusione della conoscenza. Il "libro" cambiava volto, ed invece di essere frutto della sapiente arte degli scriptores, diveniva un bene svalutato e di massa. La stessa reazione e' stata riservata a numerose invenzioni, dalla polifonia musicale, ai primi studi di anatomia, fino alle macchine industriali, ed Internet. E' umano, ed in fondo anche saggio, accogliere le novita' con cautela per poterne impedire i potenziali e sconosciuti effetti negativi.Negli ultimi anni, però, nel nostro Paese questa cautela si esprime spesso attraverso il totale rifiuto del "nuovo". Un rifiuto che, mirando ad esorcizzare le possibili conseguenze negative –che potrebbero anche non esserci- impedisce quella sperimentazione e studio necessari ad individuare, appunto, benefici e inconvenienti. Questo e' accaduto per la ricerca con le cellule staminali, per i prodotti geneticamente modificati, per la sperimentazione di alcune forme di limitazione del danno sulle politiche sulle droghe, e cosi via. Ora tocca alla vendita di prodotti derivati da animali clonati, a cui tutti – ma proprio tutti- sembrano opporsi. In realtà, la decisione presa il 28 dicembre 2006 dalla Food and Drug Administration (l'Ente federale per l'alimentazione e i farmaci degli Stati Uniti) non ha sorpreso più di tanto. La FDA ha dato il via libera alla vendita di carni e altri prodotti, come il latte, derivati da animali clonati. A mio avviso non ci sono motivi per pensare che questi cibi non siano sicuri, non meno di tutte quelle carni derivate da animali trattati con ormoni e chissà quante altre sostanze alle quali siamo da anni abituati.

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