mercoledì 26 settembre 2007

E' il momento di rivedere la Legge 40

Una sentenza del Tribunale di Cagliari ha riconosciuto ad una coppia sarda il diritto alla diagnosi preimpianto. I due futuri genitori sono portatori sani di talassemia e rischiano di mettere al mondo un figlio con lo stesso difetto genetico e con una probabilità del 50% di essere malato.
La diagnosi preimpianto, vietata dalla legge 40 sulla fecondazione assistita, è l'unico mezzo che consente di sapere, prima che l'embrione sia trasferito nel grembo materno, se si svilupperà in un bambino sano. Oltretutto, le nuove biotecnologie nel campo dell’embriologia sono accessibili solo alle persone sterili, restano tagliati fuori quei portatori di patologie genetiche in grado di concepire naturalmente un bambino. La nuova sentenza mette in discussione questi limiti e apre uno spiraglio per alcune modifiche. Secondo la sentenza del Tribunale di Cagliari, il diritto alla salute della futura madre e del futuro nascituro sono garantiti dalla Costituzione e prevalgono sul divieto di diagnosi posto dalla legge 40. La Asl e il primario di ginecologia dell'ospedale Microcitemico, dove la coppia è stata seguita, dovranno quindi eseguire l'esame per la diagnosi sull'embrione congelato, già negato nel 2005.
Il primo ricorso presentato dal legale dei due coniugi (basato sul contrasto tra l'articolo 13 della Costituzione e il 32) era stato dichiarato inammissibile dalla Consulta. La seconda iniziativa legale si è basata invece sull'incapacità della donna a sostenere psicologicamente la nascita di un bambino malato. La donna, portatrice di beta-talassemia, aveva già abortito due volte e, dopo avere atteso invano una gravidanza naturale, si era rivolta all’ospedale Microcitemico, per tentare la fecondazione artificiale. Secondo la legge 40, l'unico embrione ottenuto avrebbe dovuto essere impiantato senza nessuna diagnosi, la donna ha ovviamente preferito non rischiare e il ginecologo si è visto obbligato a congelare l’embrione (una procedura che va contro la legge 40 ma che è sempre più adottata dai medici italiani). Dopo un viaggio ad Istanbul, dove è stato possibile fare la diagnosi preimpianto, la donna è ora in attesa di una bambina sana, e vorrebbe affrontare un'altra gravidanza se l'embrione congelato nel 2005 fosse sano.
La sentenza sarda è arrivata proprio nel momento giusto. Nelle prossime settimane, infatti, il ministro Livia Turco, dovrebbe accingersi a rivedere e eventualmente modificare le linee guida della legge 40. I punti della legge più contestati sono il divieto della diagnosi preimpianto, il limite massimo di 3 ovuli da sottoporre a fecondazione e l’obbligo d’impianto di tutti gli ovuli fecondati senza la possibilità di congelare gli embrioni.
Fonte: MolecularLab 26-09-07

1 commento:

Anonimo ha detto...

sarebbe ora di rivedere sta legge che fa di tutto per inibire la ricerca, costringendo noi poveracci a cercare tutte le vie alternative, e abolisce ogni possibilità di scelta, non fosse altro per la salute di chi è coinvolto in una fecondazione assistita, cioè nascituro e madre. Si parla tanto delle politiche per la famiglia: è possibile che bisogna scappare in Turchia per il diritto ad una vita normale?!